Dunque, sfoglia che ti sfoglia, ecco un bel titolo, un bel tema, una cosa interessante, qualcosa che merita che io mi ci fermi un attimo e anche più di un attimo a leggere. Fico. Dai, avanti così. Scrivi scrivi, “mi piace”. Ma gli è che dopo titolo e sottotitolo, realizzi che nel leggere le cose oscuriste nessun essere umano può trarre godimento alcuno. L'emozione che gli si associa è piuttosto quella della repulsione. Se se, lo so, che scrivi per non compiacere nessuno, che scrivi “per te stesso”, che le masse andassero a farsi fottere eccetera. Certo certo, condivido. Ma attenzione: ho come l'impressione che si abusi di questo argomento, che sia diventato un alibi per mascherare il nulla con ricercato eloquio, in modo da sembrare intellettuali. Magari, infatti, dalla lettura si traesse dell’altro: se non il piacere, quanto meno dei contenuti, per esempio, una tesi, delle immagini o addirittura qualche informazione interessante. Vediamo.
Il piacere giace morto ammazzato all’angolo della mia pazienza. Ma nel frattempo anche la ricerca di contenuti comincia a preparare le valigie. Io e il mio esercito della buona volontà siamo decimati, ma imperterriti continuiamo: orsù ciurma! Dev’esserci dell’altro! Qualcosa, per esempio. Negativo capitana - mi dicono dalle retrovie -, finora nulla.
Ecco appunto che mi assale, durante la contorta lettura, il dubbio di trovarmi di fronte a quell’entità che nei cartoni animati i supereroi chiamano “il nulla in altre forme”. Sì insomma, quella cosa che non è niente ma che si maschera in modo da sembrare qualcosa. E’ la stessa sensazione che provo coi logorroici: quelli parlano, parlano, ma tutto questo parlare non è altro che una decorazione compulsiva di un ben dissimulato vuoto.
E alla fine, morto ammazzato il piacere della lettura, fuggita a gambe levate la ricerca dei contenuti, definitivamente strmazzata a terra la possibilità di trovare un’informazione, eccomi a tu per tu con l’autore. Sì, insomma, quello che ha scritto questa roba, come lo vogliamo chiamare, effusore di oscurità?
Gliela leggo bella chiara in faccia, tutta la sua psicologia, mentre trattiene le goccioline di sudore con uno sguardo fiero, e tira su col naso in aria di sfida ma per farsi coraggio.
- Vedranno che sono molto colto. Penseranno che me ne intendo!
- Nessuno potrà attaccarmi, perché chi vuoi che capisca quello che dico? Hihihi! Se non mi capiscono, non possono neanche criticarmi! E siccome narcisismo vuole che nessuno ammetta candidamente “non ho capito”**, capire una cosa complicata come quella che ho scritto sembrerà degno di essere esibito come una nota di merito. Dai, è fatta!
- Magari metto pureil curriculum alla fine, così penseranno che sono uno che conta. E tutto quello che dico diventerà credibile, per il sol fatto di scrivere "laureato", “professore” o “ha scritto decine di articoli in svariate riviste importanti” in calce al mio articoletto. La gente penserà: uno così titolato non può dire minchiate! Sono a posto wow.
- Eccomi dunque entrato nella cerchia di quelli che dicono cose che bisogna leggere, linkare e citare per essere a propria volta fichi. Non ci posso credere!!!
- Insomma, sarò un intellettuale!!!!11 Corro a dirlo a mammà!
E adesso, un consiglio al lettore medio, che rivolgo anche a me stessa. Quando il dubbio di non capire un testo ti coglie (no, non mi riferisco allaCritica della ragion pura, ma a quell’articolo in quella rivista su internet che il tuo amico appassionato di estetica tiene tanto a farti leggere), acquista il kit, facile da usare ed economico, “ma de che stamo a parlà?” di Meglio tacere edizioni. Ogni volta che penserai di essere tu a non arrivarci, la magica domanda ti tirerà fuori dall’impiccio. Tutte quelle frasi roboanti saranno costrette a ridimensionarsi e fare i conti con l'elementare richiesta.Il fenomeno rientra perfettamente in quella che Adorno chiamava semicultura, anche nota come middlebrow, come scrive Guia Soncini, cioè la cultura intesa come esibizione sociale di carattere narcisistico: la cultura come arredo fashion. Leggere Pierre Bourdieu e qualche profonda critica del gusto estetico di massa può essere utile per riconoscerla, ma non ve n'è necessariamente bisogno: personalmente, mi basta il senso di irritazione.
Riconosco tuttavia in tutto questo un problema. La soglia del “non capisco” è molto variabile da soggetto a soggetto, e molto strumentalizzabile anche (leggi: "non ho capito, ma è colpa tua che non sai scrivere"). Prendi quegli autori che moltissimi ritengono “oscuri”, e che invece devi fare lo sforzo e poi li capisci. Possiamo rivolgere a costoro lo stesso rimprovero di questo post?
Prendi un Habermas. Uno che per dire che le persone si mettono d’accordo su un problema, dice che l’idea è intersoggettivamente condivisa. Sì, insomma, la prolissità per eccellenza. Habermas è appunto prolisso – tra un’espressione breve e una lunga, sceglie sempre la soluzione meno economica – ma non è oscuro. Soggetto, predicato, complemento, rinviano a dei referenti, agonizzanti magari, ma pur sempre dei referenti: un “qualcosa”. Quindi Habermas tu puoi criticarlo, misurandoti con argomenti, quelli che lui espone: benché abbia tutta l'aria di farlo, non nasconde il nulla dietro un eloquio forbito - semmai complica le cose semplici e ammorba il lettore, ma questo è un altro discorso. Ho scelto un autore che non amo molto, per una sorta di mia onestà intellettuale, perché devo riconoscere che comunque, nonostante l'apparenza e lo scazzo nel leggerlo, qualcosa dice.
**A proposito, ma perché al giorno d'oggi sembra ci si vergogni di dire "non ho capito"? Perché ci si sente in competizione quando si affrontano argomenti "intellettuali" e si cerca il più possibile di nascondere se non si è letto un libro o se non si conosce un autore o se non si è colto il senso di un argomento? A quale ansia da prestazione sociale è stata asservita la "cultura"? Perché fare della "cultura" una specie di performance? A questo argomento pruriginoso sarà dedicato, prima o poi, un altro post...