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Il lontano buco nero nel suo bozzolo galattico

Creato il 31 gennaio 2014 da Media Inaf

Un team guidato da Roberto Gilli dell'INAF è riuscito a indagare con grande accuratezza, grazie alle riprese del telescopio ALMA dell'ESO, la regione di gas e polveri che avvolge un lontanissimo buco nero supermassiccio. Un risultato di importanza fondamentale per capire la struttura di questi remotissimi oggetti celesti. Lo studio è in pubblicazione su Astronomy&Astrophysics.

di Marco Galliani

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Non è certo una pacifica convivenza quella che c’è tra le galassie massicce e il loro buco nero centrale. Esso infatti, forte della sua stazza che può variare tra il milione e il miliardo di masse solari, ingurgita a più non posso tutto quello che si trova nel suo raggio di influenza gravitazionale. L’enorme mulinello di gas e polveri che si viene a creare attorno ad esso, comprime e surriscalda la materia, producendo una grande quantità di energia, soprattutto sotto forma di raggi X, che si diffonde nella galassia e investe la materia che la compone. Questa continua interazione tra le galassie e i loro turbolenti ‘inquilini’, che gli astrofisici chiamano ‘retroazione’ (o feedback in inglese), gioca un ruolo determinante nella reciproca evoluzione dei due soggetti: se c’è abbondanza di materiale attorno al buco nero, questo accresce ad un ritmo elevato e altrettanto efficientemente irraggia energia. Dall’altro lato, più questa energia viene a diffondersi nella galassia, più riscalda il suo gas e le sue polveri, inducendo una sostanziale variazione del ritmo di formazione di nuove stelle al suo interno.

Questa interazione si estremizza quando andiamo ad osservare sistemi buco nero-galassia massiccia molto indietro nel tempo, per capirci entro i primi due miliardi di anni dopo il Big Bang, quando cioè l’universo aveva meno di un decimo della sua età attuale. A quest’epoca infatti le galassie sono in gran parte ‘giovani’ e ancora ricche di gas e polveri, soprattutto nelle zone centrali, proprio dove alberga il loro buco nero supermassiccio. Seppure sia in piena attività ed estremamente brillante nelle alte energie, esso rimane quasi del tutto oscurato e pressoché invisibile ai nostri strumenti, poiché la sua radiazione più energetica viene in gran parte assorbita proprio dalla spessa cortina che lo circonda.

Per stanare questi mostri avvolti nel loro denso bozzolo dobbiamo spingerci fino al limite della nostra attuale tecnologia, osservando piccole porzioni del cielo per tempi estremamente lunghi, in attesa di quei pochissimi fotoni che riescono a sfuggire da simili, elusivi sistemi. Un esempio da manuale di questa situazione è noto da qualche anno agli astrofisici grazie alla più profonda osservazione mai effettuata nei raggi X dal telescopio spaziale Chandra. L’osservatorio orbitante della NASA ha infatti puntato un’area di cielo grande appena la metà della luna piena per un tempo di varie decine di giorni , scoprendo centinaia di flebili sorgenti nei raggi X. Una di queste, dall’impronunciabile nome di LESS J033229.4-275619, si è poi rivelata un debole quasar, ovvero una galassia lontanissima (a quasi 12,4 miliardi di anni luce da noi), con un forsennato ritmo di formazione stellare e dotata di buco nero centrale assai attivo ma estremamente oscurato. Ad indagare in maggior dettaglio questo sfuggente oggetto celeste ci ha pensato nel 2012 un gruppo internazionale di astronomi guidato da ricercatori INAF che lo ha osservato nell’ambito del primo ciclo di osservazioni (Cycle 0) effettuate con l’Atacama Large Millimeter/submillimiter Array (ALMA). Le osservazioni ad alta risoluzione di ALMA, non più nel dominio delle alte energie ma nella banda a cavallo fra l’infrarosso e le onde radio, hanno permesso al team di astronomi di circoscrivere la zona di questa galassia che contiene gran parte della polvere riscaldata, che è risultata avere un raggio minore o uguale a circa 3.000 anni luce.

“Essere riusciti a identificare con precisione questo ‘bozzolo’ ha un’importanza fondamentale per capire la struttura di questi remotissimi oggetti celesti” dice Roberto Gilli, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Bologna, primo autore dello studio in pubblicazione sulla rivista Astronomy&Astrophysics. “Innanzi tutto, se anche il gas della galassia avesse una concentrazione spaziale simile a quella della polvere osservata con ALMA, il buco nero verrebbe notevolmente oscurato e la sua emissione nei raggi X sarebbe in accordo con le osservazioni di Chandra. Se consideriamo questo scenario come un paradigma per tutte o gran parte delle galassie primordiali si potrebbe spiegare piuttosto agevolmente l’effetto osservativo secondo cui il numero dei quasar oscurati cresce via via che osserviamo oggetti sempre più distanti nello spazio e quindi più antichi.

“In secondo luogo, queste osservazioni mostrano che, oltre alla massa, al tasso e alla durata della formazione stellare, questo sistema avrebbe anche la compattezza necessaria per poter essere uno dei progenitori delle galassie quiescenti e compatte osservate quando l’Universo aveva poco più di due miliardi di anni”. È scoperta recente infatti che, circa 11 miliardi di anni fa, una frazione significativa delle galassie quiescenti, quelle cioè che hanno da tempo cessato di formare stelle, è composta da oggetti compatti, le cui dimensioni sono 3-5 volte più piccole di quelli di pari massa nell’Universo vicino, e la cui densità di stelle è dunque almeno 30 volte maggiore. La comprensione di come si siano formate galassie compatte e popolate da stelle vecchie quando l’Universo era ancora relativamente giovane, è tuttora un problema aperto. Un’interpretazione particolarmente promettente è che l’intensa radiazione emessa dal quasar possa esercitare un’azione di “feedback” sulla galassia che lo ospita, accelerando i tempi della formazione stellare e producendo sistemi compatti e quiescenti su tempi cosmologici molto brevi dell’ordine dei  100 milioni di anni. Le possibili tracce di “feedback” trovate nella galassia studiata dal team di Gilli confermerebbero proprio questa ipotesi.

“Questo è stato uno dei primi progetti che il nodo ARC italiano ha seguito in tutte le sue fasi” sottolinea Marcella Massardi, dell’INAF-IRA di Bologna e membro dell’ALMA Regional Center (ARC) italiano, uno degli otto centri europei per il supporto e il coordinamento delle operazioni con ALMA. “L’ARC italiano supporta gli utenti ALMA dalla preparazione dei progetti osservativi alla riduzione dei dati. Nell’ambito delle nostre attività abbiamo avuto modo di apprezzare che la comunità scientifica che sul territorio nazionale si occupa della scienza nella banda millimetrica e submillimetrica è in forte crescita ed è pronta a cogliere le opportunità che le nuove facilities offriranno nei prossimi anni”.

 

Per saperne di più:

  • L’articolo “ALMA reveals a warm and compact starburst around a heavily obscured supermassive black hole at z = 4.75″, di Roberto Gilli et al., in corso di pubblicazione sulla rivista Astronomy & Astrophysics

 

All’articolo hanno partecipato sei ricercatori dell’Osservatorio di Bologna e un totale di 14 ricercatori affiliati ad INAF. I dati ALMA analizzati sono il risultato di una delle sole quattro proposte di PI di istituti italiani accettate nell’ambito del Cycle 0. Il lavoro è stato svolto in stretta collaborazione con l’ALMA Regional Center (ARC) ospitato dall’INAF-Istituto di Radioastronomia di Bologna . 

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani



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