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Il lungo viaggio Cisl (verso dove?)

Da Brunougolini
C'era una volta (anni 50) il "sindacato democratico" contrapposto al "sindacato comunista", ovvero un sindacato responsabile e un sindacato rivendicativo, secondo lo schema di Mario Romani. Oggi la contrapposizione sarebbe tra sindacato "adattivo", con la centralità nelle relazioni industriali e un sindacato con la centralità nella presenza politica. Uno magari in preda alla sindrome del si e l’altro in preda alla sindrome del no. E’ un po’ questo il filo conduttore de “La lunga marcia della Cisl, 1950-2010” (edizioni Il Mulino) autore Guido Baglioni, professore emerito dell’Università di Milano Bicocca.
E’ un’analisi delle varie tappe di questa “lunga marcia” ma alla fine verrebbe voglia di chiedere “verso dove?”. Baglioni potrebbe comunque rispondere che proprio l’assenza di finalità è un punto di differenza tra Cisl e Cgil. Essendo la Cisl, come scrive, non votata alla “emancipazione del lavoro”, esente “dal peso e dall'ansia per l'avvento della società socialista”.  Anche se, osserviamo, nello statuto della Cgil la finalità presente riguarda la Costituzione italiana.
Il racconto dello studioso si fa leggere, anche perché ricco di ricordi e riferimenti, attraverso intellettuali come Accornero, Trentin, Berta, Caselli, Tarantelli, Giugni. Oppure nell’incontro diretto con sindacalisti come Pastore, Storti, Macario, Carniti. Molti di costoro hanno contrassegnato il periodo  di un'altra Cisl (gli anni 60-70) sul quale l’autore lascia sospeso il giudizio. Si chiede “Si può parlare di eresia?” e risponde enigmaticamente “Si e No”. Sono gli anni dell’unità sindacale e di un’accesa disputa attorno ai metalmeccanici di Pierre Carniti. Con tanti che temevano il superamento dell’identità cislina.
Oggi questa identità prorompe e la scommessa di Pastore e Romani è vinta, dice Baglioni. "Siamo più vicini alla vasta applicazione del sindacalismo pragmatico e senza enfasi della Cisl”. L’autore non nasconde, certo, la crescente diseguaglianza sociale, la frammentazione dei lavori, ma, “non è più tempo di mobilitazioni di massa, proteste politiche, contratti collettivi di ampia portata”. Bisogna adattarsi perché "troppi diritti producono estraneità fra le parti”. Insomma bisognerebbe riconoscere – cosa che la Cgil non avrebbe mai fatto – “la posizione complessivamente più debole del sindacato”.
Eppure nelle stesse pagine troviamo (accanto a vicende comuni di concertazione e non di mera conflittualità, come nel 92-93) questa citazione (2008) di un dirigente Cgil come Riccardo Terzi: “Nelle attuali condizioni puntare solo sulla forza è una scelta suicida perché la forza non è solo nelle nostre mani. La mediazione politica diviene indispensabile".  Solo che ora, si perdoni la battuta, la mediazione sembra cercarsi preferibilmente col centrodestra. Così, senza un viaggio minimamente unitario, si rischia di non andare da nessuna parte.

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