Magazine Lavoro
"Viaggio al centro del lavoro" è il titolo del volume (Ediesse) nel quale Antonio Pizzinato (in collaborazione con Saverio Paffumi) ha raccontato il proprio tragitto di vita, da operaio della Borletti a segretario generale della Cgil. L'opera è stata presentata nei giorni scorsi a Roma in un dibattito tra Susanna Camusso, Franco Marini e Giorgio Benvenuto. Ecco qui la mia postfazione.
Ho conosciuto Antonio Pizzinato nei lontani anni sessanta. Io avevo ereditato da Adriano Guerra, all’Unità, il compito di seguire, nel servizio sindacale, i metalmeccanici. La sede del giornale, a Milano, era in viale Fulvio Testi, non molto lontano dalle grandi fabbriche di Sesto San Giovanni. Spesso per cercare Antonio bisognava rincorrerlo tra la Magneti Marelli e la Falck. E capivi subito che non avevi certo a che fare con coloro che allora i ragazzi di Lotta Continua o di Potere operaio chiamavano “burocrati sindacali”. Semmai poteva ricordare, nella mia romantica fantasia, Henry Fonda, il protagonista di “Furore”, il film di Ford tratto dal romanzo di Steinbeck. Anche lui, alto e magrissimo, ispirava energia organizzatrice e passione politica, ma anche una tenace voglia di ragionare, di far capire, anche nei più minuziosi dettagli, le motivazioni di uno sciopero, l’ansia di un sindacato che stava costruendo la propria forza.
Sono caratteristiche che ritrovo in questo libro di memorie, ben curato da Saverio Paffumi. E’ la storia dell’operaio della Borletti, diventato segretario generale della Cgil, seguendo le orme di un altro “proletario-cafone” come lui (Di Vittorio). E’ anche la storia di un’ambiziosa scommessa, quella di voler rifondare il sindacato, suscitando incomprensioni e inimicizie. Il libro ricostruisce i momenti più delicati e difficili: per stabilire i primi diritti sindacali (oggi posti in discussione), per ricordare le prime esperienze con i precari dell’epoca e alcune pagine epiche della storia sindacale come quelle segnate dalla sconfitta alla Fiat, dovuta anche alle forme di lotta adottate. Non c’è però lo sfogo di chi vorrebbe togliersi qualche sassolino dalle scarpe, come si usa dire. Il racconto è sereno, quasi distaccato.
Pizzinato mantiene vivo l’insegnamento che gli aveva dato, al suo arrivo nella Borletti, nel 1947, un compagno di lavoro, Giovanni Grassi, comunista: “Impara bene il mestiere perché così sarai forte nel difendere i tuoi diritti, oltre ad avere una certezza nella vita”.
La fabbrica è stata la sua maestra di vita, rivissuta, con altri incontri con personaggi anche per me indimenticabili come Fioravante Stell, Ciccio Fumagalli e molti altri. Ed ecco, nel corso degli anni, l’ossessione di voler cambiare, rifondare il sindacato, sollevando temi che ancora oggi investono le organizzazioni dei lavoratori, come il rinnovamento e la sburocratizzazione dei quadri, la valorizzazione del ruolo delle donne (la cui forza dirompente aveva conosciuto proprio alla Borletti), l’imperativo unitario con Cisl e Uil e l’imperativo della democrazia sindacale. Nonché la volontà di innovare la politica rivendicativa di fronte alla crisi del sistema ford-taylorista di organizzazione del lavoro e della società.
Nel volume sono inseriti particolari inediti sulla sua elezione a segretario generale della Cgil nel 1986. Attraverso una vicenda che lo vede in contrapposizione con Bruno Trentin, considerato da molti come l’erede naturale di Luciano Lama. Posso però testimoniare direttamente che fra Trentin e Pizzinato c’è stato un intenso rapporto di reciproca stima e fiducia nonchè di forte amicizia. Gioca un ruolo in quella vicenda l’opinione del gruppo dirigente del Pci diretto da Alessandro Natta. Trentin è considerato, in definitiva, un “intellettuale” troppo autonomo.
E’ ricostruita, nel volume, la riunione che porta all’appoggio del Pci a Pizzinato, con quest’ultimo che sostiene di considerare troppo breve la propria esperienza, proponendo un'altra scelta, con un’attesa di qualche anno. L’ipotesi non è lontana da quella sostenuta da un solo altro membro di quella segreteria: Giorgio Napolitano. L’ipotesi però non passa e poi nella consultazione in casa Cgil Pizzinato ottiene l’approvazione, diventa segretario generale. Comincia la sua lunga fatica tra successi ma anche incomprensioni nel gruppo dirigente confederale. Fatto sta che nel 1988 l’ex operaio della Borletti rimette il mandato ed è Trentin, dopo un ampia consultazione interna, a diventare segretario generale. C’è un elemento che colpisce in questi ricambi ed è dato dal ruolo svolto dal partito rispetto al sindacato. E forse anche per questo (oltre che per il “male oscuro” delle pressioni politiche sorte nel 1992) sarà Bruno Trentin più tardi a proporre lo scioglimento delle correnti di origine politica nella Cgil.
Questo libro però, come ho sottolineato, non è un libro di ripicche, è semmai una lezione di vita e anche un’ostinata riproposizione della necessità di “ripensare il sindacato” di fronte “a una realtà dei mondi del lavoro così frammentata, diversificata e in permanente mutamento”. Certo, con qualche ricordo amaro. Come quello di una legge sulla rappresentanza sindacale già elaborata durante il primo governo Prodi (Pizzinato è sottosegretario al Lavoro), ma poi affossata anche per colpa di 10 parlamentari del centrosinistra. Una legge che avrebbe potuto evitare i problemi dell’oggi, vedi quel che sta succedendo nelle fabbriche Fiat.
La crisi della politica di cui tanto si parla nasce anche da questi fatti. Il libro di Antonio Pizzinato ha proprio questo valore: aiutare a riconquistare il gusto del fare sindacato, non inteso come un “mestiere” simile a tanti altri. E in tal modo aiutare anche la politica a uscire dalle proprie piccole e grandi miserie.
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