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Il maestro dello storico italiano: Alan D. Altieri e la Trilogia di Magdeburgo

Creato il 26 ottobre 2011 da Alessandraz @RedazioneDiario
Cari lettori e lettrici, mettetevi comodi. Questa sarà una recensione impegnativa su tre libri che non esito a definire straordinari. Lettura impegnativa, quella della trilogia di Magdeburg, tra le più belle e stimolanti che mi siano capitate negli ultimi anni.
Il maestro dello storico italiano: Alan D. Altieri e la Trilogia di MagdeburgoIl primo volume è intitolato L'Eretico; il secondo, La furia; il terzo, il Demone. Una figura ammantata di nero, cupa e letale che si aggira per la Sassonia devastata dalla Guerra dei trent'anni. Nel 1630 la Germania è un inferno devastato da fuoco, razzie e morti. Un clima disperato e cupo aleggia in tutto il romanzo: l'atmosfera di un mondo in bilico sul baratro della distruzione definitiva, dove non vi è pietà, dove nel nome di un Dio assente e lontano si massacrano inermi contadini e si brutalizzano le donne. Mikla, poco più che una ragazzina, è una di queste. Condannata al rogo perché aveva tentato di alleviare le sofferenze con le sue conoscenze delle erbe, incrocia la sua esistenza con quella di Padre Bolanos, un esaltato frate domenicano che ha un unico obiettivo: cancellare i protestanti dalla faccia della terra.     E' in questo momento che entra in scena l'Eretico in nero, un guerriero letale e potentissimo. Accompagnato da stormi di corvi, questo guerriero si muove con grazia sconosciuta e fa strage della soldataglia della Falange di Arnhem, salva la ragazza e si rifugia in un monastero diruto, distrutto anni prima dalla stessa Falange. A guidarli sulle tracce dell'eretico è Caleb Stark, un giovane soldato che, per sopravvivere alla distruzione della propria famiglia, ha dovuto accettare di militare tra coloro che hanno sterminato il suo villaggio.
Il maestro dello storico italiano: Alan D. Altieri e la Trilogia di MagdeburgoAccanto a questi attori, prendono posto altre figure: Alessandro Colonna, messo del Pontefice, inviso alla Curia romana e ai Domenicani; l'ebreo costruttore di lenti, Leopold Klein, uomo mite e gentile cui la guerra strapperà la moglie e la figlia; Jean Jacques Deveraux, L'Osservatore per conto del Re di Francia, l'uomo del mistero, privo di due dita e possessore di un'arma letale simile quella dell'eretico, una spada che proviene dalla terra delle lacrime, una daikatana. L'eretico, che scopriremo chiamarsi Wulfgar, ha con sé armi letali e sconosciute con cui è capace di sterminare molti soldati in pochi minuti. Oltre la sua spada, più lunga e sottile di quella dell'Osservatore, egli possiede delle strane stelle di metallo capaci di forare il cranio di un uomo; pugnali corti e letali, bastoni di legno, i bokken, "perchè il ferro è per gli uomini, per le bestie è sufficiente un bastone". Armi che forgia per sé con l'aiuto dei suoi "compagni di viaggio". A Mikla, Caleb, Leopold, Alessandro e Deveraux egli consegna dei simboli di pietra da portare addosso. Si tratta, rispettivamente, della terra, dell'acqua, del fuoco, dell'aria e del vuoto. Simboli misteriosi e arcani, ma che ben sintetizzano le capacità e il ruolo che ciascuno di questi comprimari gioca nella vicenda. Queste personaggi riconosco in Wulfgar ben più di un capo. E' un loro simile che, nonostante le apparenze aliene e la crudeltà estrema del combattimento, comprende il loro dolore immenso. Nel guerriero in nero vi è quell'empatia che ormai essi ritenevano morta e sepolta, quella gentilezza nei gesti che rimargina ferite profonde. Egli è, per citare la Bibbia, un "Uomo dei dolori, colui che conosce ogni miseria", perché l'ha provata sulla pelle.
E contro di loro, uomini che hanno fatto del denaro, dell'ambizione e del credo religioso la loro ossessione. Padre Bolanos, un domenicano che è anche un implacabile massacratore di inermi che non professano la sua fede o che, come Mikla, sono accusati di stregoneria; Van Der Kaal, massacratore e stupratore, comandante della falange di Arnhem; il granduca von Auerbach, uno stolido vigliacco che sarà distrutto dalla sua sete di potere; Victor Mundt, mercenario prezzolato; Wallestein, duca di Germania e comandante supremo dell'esercito tedesco in cerca di nuova gloria. Ma sopratutto lui. Il Dekken. Reinarhart von Dekken, ultimo erede della casata di Kragberg e vera e propria anima nera della saga. E poi, lontani dalle logiche di opposizione, ma nello stesso tempo parte essenziale del complesso e raffinato gioco di incastri che Alteri ha saputo creare, altri personaggi, come l'abate Frenkel o il potente arcivescovo Goetz. Ma sopratutto Madre Erika, la superiora del monastero di Kolstad, vero e proprio luogo focale della narrazione, una donna tanto coraggiosa e determinata da sembrare folle. Uno dei personaggi femminili più belli che abbia mai letto.
Il maestro dello storico italiano: Alan D. Altieri e la Trilogia di MagdeburgoNon c'è speranza in questa vicenda. E' una sensazione opprimente che schiaccia il lettore per la durata dei tre romanzi, che avvinghia e nello stesso tempo, che riempie la mente con la sua potenza. I tre volumi coprono un periodo di circa 18 mesi, nel quale la Germania assiste alla fase più devastante della guerra dei Trent'anni. Al termine di questo periodo vi sarà la caduta di Magdeburgo, la città simbolo dell'indipendenza religiosa e politica della Germania, bruciata da un incendio che è paragonabile (per violenza e numero di morti) a quello che distrusse Dresda nella seconda Guerra Mondiale. Con la caduta della città, l'assetto politico e sociale dell'intera Europa subì un cambiamento dalle conseguenze allora inimmaginabili, in cui si assistette alla progressiva perdita di potere e di influenza delle chiese nazionali e del Papato, allo spostamento dell'asse politico-istituzionale della politica tedesca verso al Prussia e l'Austria e last but not least, all'ascesa della Francia. Ma questo è "solo" ciò che i libri di storia ci hanno tramandato.
Ciò che Altieri sa dare con questa trilogia è molto, molto di più. Nelle pagine dei tre volumi si trovano quelle emozioni forti, dolorose e sgradevoli che spesso sono cancellate dai romanzi storici. La grande forza dei tre volumi è il realismo estremo della narrazione, ottenuto con quello stile icastico, forgiato nel ferro e nel fuoco del lavoro di perfezionamento e riscrittura che  caratterizza lo stile di quest'autore straordinario. I periodi sono brevi, spesso frammentari, con una presenza di verbi ridotta al minimo sindacale e l'aggettivazione insolita, ricercata, a volte ardita. Precisione e rigore storico magistrali, psicologia dei personaggi calibrata al millimetro, descrizione dei combattimenti dall'impatto cinematografico, scene descritte senza compiacimento morboso ma con l'occhio crudo e disincantato del narratore. Il tutto in una narrazione coinvolgente che non lascia un attimo di respiro. Non si tratta di romanzi per tutti, è giusto dirlo. L'impatto con questo stile così sobrio e insieme "scolpito" può essere straniante, ma superate le prime pagine, si trasforma in una magia che assorbe completamente il lettore trascinandolo a piedi uniti nel fango mescolato al sangue, sulla neve sporca, tra le ceneri di un falò di eretici, in mezzo alle grida assordanti di un'umanità che chiede che la fine del mondo giunga presto a liberarla.
La disperazione e la desolazioni sono tangibili, anche grazie alle descrizioni dei colori acidi e  lividi del paesaggio che fa da sfondo alla guerra. C'è una frase in cui si riassume questa trilogia. "Dio è morto." Non è un proclama politico, ma l'affermazione disperata di un uomo che ha visto la sua vita ridotta in cenere in nome della religione e di un dio ancora più geloso e vendicativo: l'ambizione. L'ambizione deI Dekken sarà la sua rovina, Wulfgar la sua nemesi. Non vi è spazio per il perdono tra questi due personaggi, ne ve ne può essere. L'uno è parte dell'altro e, nello stesso tempo, non potrebbe esserne più distante. Perché, come yin e yang, l'uno non potrebbe esistere senza l'altro. Nel momento in cui l'affermazione che domina tutto il romanzo si ritorcerà contro Rehinardt von Dekken, si comprenderà come la vendetta ha trasformato l'anima di un uomo in un luogo oscuro e invivibile, dove non può esservi più spazio per un sentimento che pure è sopravvissuto contro tutto e tutti. Oltre la morte, lo stupro, la violenza e l'annichilimento, c'è il ricordo di un amore infelice.
Nessuna carne sarà risparmiata. Il maestro dello storico italiano: Alan D. Altieri e la Trilogia di MagdeburgoQuesta è l'affermazione che apre e chiude il ciclo dei tre romanzi. Ciò che prima è un comando si trasforma in una sentenza di morte contro coloro che l'hanno messa in atto. Perché Dekken, assieme a Auerbach e van Der Kaal ha assaltato e distrutto il castello di Sonderheim presso cui stava per celebrarsi il matrimonio tra il maggiore dei cattolici Dekken, Karl, e Rowena Sonderheim di famiglia protestante. Un abominio che il figlio cadetto dei Dekken cancella sterminando in modo barbaro la sua famiglia, violentando la cognata e uccidendo il personale riunito per la festa, fino a che del Castello di Sonderheim non rimangono che mura annerite e ossa scarnificate dai corvi. La trilogia di Magdeburg è un romanzo di guerra, di crescita e cambiamento interiore, di discesa all'inferno. Ma è sopratutto la storia di una vendetta e di un'ossessione. Ed è in ultima analisi, anche una storia d'amore disperata che non avrà mai scene madri. Solo alla fine, in un tiepido mattino di primavera, ai piedi del monastero di Kolstadt, sede di Madre Erika, si avrà un cenno di speranza. Un segno timido, la speranza di poter ricominciare a vivere lontani dalla guerra: i profughi tra cui Caleb, Mikla - incinta di lui - Leopold e Ingrid (una suora stuprata dal Dekken) con la loro bambina adottiva (un'orfana sopravvissuta al massacro del suo villaggio) trovano rifugio assieme alla gente fuggita da Kragberg nella valle sottostante il monastero e lì ricominceranno a vivere. Protestanti e cattolici, ebrei e perseguitati. Un nuovo inizio per lasciarsi alle spalle le brutture della guerra e dar di nuovo inizio al ciclo della vita.  Perché l'acqua (Caleb) fertilizza la terra martoriata e sterile (Mikla), nutrendola con amore, così come il fuoco (Leopold) rianima e raccoglie l'intera comunità, mentre il vento porta con sé la speranza e trasmette la voce della verità (Alessandro Colonna che farà ritorno a Roma).
Wulfgar, colui che all'inizio viene definito eretico in nero, che ha lottato per disciplinare la furia della vendetta che l'ha soggiogato sin dal momento in cui ha potuto combattere, si è ormai trasformato nel demone persecutore di chi gli ha distrutto la vita. E, alla fine, il buio della rabbia e del dolore di cui si è nutrito per tanto tempo, si rispecchia nella sua stessa anima. Ormai sono un'unica entità, il guerriero e il suo demone, qualcosa di maligno e orrendo di cui lui stesso è perfettamente consapevole. Un uomo capace ormai solo di dispensare morte, una sorte disgraziata e disperata che ha abbracciato volontariamente, senza pensare che il mostro della furia che lui ha evocato avrebbe preso il posto del suo cuore. Ma è un uomo forte, Wulfgar, che saprà contenere quella voglia di distruzione che lo insegue senza sosta. Al termine del Demone, saranno le sue parole a dare la cifra dell'immensa solitudine di una figura magistralmente costruita:
"Dentro di me, nel profondo di me, cominciò a prendere forma qualcosa che non può essere descritto. Può essere solamente provato. Ho nutrito quest'entità. Notte dopo notte, incubo dopo incubo, memento dopo memento (...) Ma l'entità nera alla fine ha vinto. Per lui (Reinhard von Dekken). E per me. Nel tempo che mi rimane su questa terra, è qualcosa con cui dovrò coesistere."
Una storia forte e crudele, concepita come un mosaico di singole vicende e costruito per filoni narrativi che si giustappongono, i singoli capitoli si incastrano attraverso sottili fili di raccordo perfettamente celati nel tessuto narrativo, che impediscono la lettore di "perdersi" in una geografica umana che è varia e complessa. Da questo punto di vista, è ottima l'idea sia della carta geografica che della genealogia inserita all'inizio di ogni volume e aggiornata con i morti (parecchi) che si susseguono di volume in volume.
E in fine, una domanda rimane nell'aria. La guerra dei Balcani degli anni Novanta. I conflitti africani, primo fra tutti quello rwandese. E poi ancora, le guerre mondiali, le guerre del Vietnam, quelle di colonizzazione. Davvero l'essere umano è cambiato in quasi quattro secoli? Forse no.

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