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Il maestro inconsapevole

Da Sharatan
Il maestro inconsapevole
"Siamo ciò che pensiamo,
essendo divenuti ciò che abbiamo pensato"
(Buddha)

Il maestro zen Kasan era molto stimato perciò, quando morì il più nobile e facoltoso cittadino della sua provincia, gli fu chiesto di officiarne la cerimonia funebre. La famiglia del morto era conosciuta e stimata, perciò i funerali sarebbero stati grandiosi, infatti vi avrebbero preso parte le persone più nobili e ricche, e lo stesso governatore della provincia per conto dell’imperatore. Mentre era in attesa di preparare la funzione per la benedizione della salma, Kasan si accorse di avere le mani sudate, perciò il giorno dopo convocò tutti i suoi discepoli per comunicare che scioglieva la scuola, poiché non era degno di essere un maestro non avendo nulla da insegnare.
Davanti agli sguardi allibiti dei suoi discepoli Kasan spiegò che non era in grado di indicare alcuna via per conseguire l’illuminazione, poiché lui stesso non la conosceva, infatti non era stato capace di trattare il più misero mendicante nella stessa maniera del rappresentante dell’imperatore. La sua consapevolezza non era stata in grado di trascendere i ruoli sociali, perchè la sua mente era ancora contaminata dalle identità concettuali ed era incapace di vedere oltre le apparenze formali. Dopo aver lasciato tutto, Kasan si recò presso un grande maestro per ricominciare l’apprendistato, e solo dopo che ebbe ottenuto l’illuminazione, ritornò ad istruire dei nuovi discepoli.
Questa storia zen insegna che le persone assumono dei ruoli e delle apparenze che nascondono la loro vera essenza, e questo è naturale perché le apparenze esteriori nascondono sempre la realtà, infatti sono i nostri ruoli sociali e le nostre convenzioni esteriori che emergono per prime, in quanto il mondo e la società ci richiedono di adottare dei travestimenti che ci difendono, ma che falsificando la nostra vera immagine. Il nostro ego impara ad usare questi travestimenti, perché conosce solo questo modo di comportarsi, in quanto l’educazione e le maschere sociali sono l’unico modo che ha imparato per rapportarsi con il mondo.
Le persone assumono dei ruoli che diventano dei fatti e delle situazioni interiori fino a farle coincidere con il modo di sentire e di vivere il mondo, perciò il ruolo diventa il nostro unico modo di essere: le condizioni esterne diventano le nostre emozioni intime, e non sappiamo riconoscere che le sensazioni che proviamo sono solo il riflesso dei condizionamenti a cui siamo stati indotti. I nostri pensieri sono il prodotto dei nostri condizionamenti, perciò le storie che vengono usate per educarci diventano le emozioni e le sensazioni che scambiamo per il nostro autentico Essere.
La causa dell’infelicità umana è in questa confusione percettiva da cui non sappiamo uscire, infatti confondiamo il pensiero e la sensazione con le emozioni e le subiamo passivamente senza riuscire a governarle, perché non ci appartengono realmente. La storia zen aiuta a capire che il pensiero non corrisponde ai fatti reali, ma sono i condizionamenti che ci impediscono di vedere: essere consapevoli della realtà significa capire che i fatti e i pensieri che sono costruiti sui fatti, sono delle cose diverse, infatti imparare a separare il nostro pensiero dalle nostre sensazioni non è affatto facile.
Se la realtà mentale delle cose si confonde con il pensiero che nutriamo riguardo alle cose stesse, iniziamo a nutrire la sofferenza interna perciò, saper vedere le cose per come sono, equivale ad acquisire il potere di padroneggiare la realtà. Guardare la realtà infonde potere, perché libera l’uomo dalle illusioni che egli nutre riguardo la vera natura del mondo: saper guardare i fatti in modo oggettivo ci libera dal “pensatore” che “crede” di pensare ma che vive schiavo della sua mente. Il pensatore è un succube dei suoi meccanismi, perché è incatenato alle illusioni di dati falsi ed illusori, mentre l’essere illuminato è libero dagli inquinamenti.
Le nostre identità sono collegate a dei ruoli a cui reagiamo inconsapevolmente come degli automi, perciò l’uomo vive tutta la vita come un prigioniero delle finzioni, anche quando esse non gli sarebbero affatto necessarie, in quanto esse sono divenute un surrogato della vita e, vivere di tali surrogati, gli impedisce di poter acquisire il giusto apprezzamento del vero gusto di vivere. Tutti temono di perdere il controllo dei ruoli a cui sono abituati, perché l’ego costruisce la sua identità sulla base di queste bugie e di queste falsità: l’inconsapevolezza umana è basata sulle falsità perché l’ego ha la necessità di sopravvivere ad ogni costo.
Le maschere dell’ego diventano il nostro unico modo di funzionare, perciò crediamo che queste finzioni siano la nostra unica possibilità di essere felici, in quanto crediamo che la felicità equivalga a saper indossare in modo convincente le maschere e i ruoli, perciò essi vengono difesi strenuamente dallo stesso prigioniero. Questo è il modo con cui degli schiavi diventano complici della loro condizione di schiavitù esistenziale e mentale, e questa motivazione è sempre inconsapevole, perché è l’ego che ci sta manipolando usando la nostra mente e il nostro desiderio di essere felici fuggendo dalla sofferenza.
La resistenza al cambiamento è la battaglia in cui l’ego si impegna in nome di questa presunta felicità nella difesa di una fittizia integrità interiore, infatti l’ego si nasconde dietro le sue disfunzioni rendendoci ciechi alle sue motivazioni e ai suoi veri meccanismi. La resistenza al cambiamento ci limita nella comprensione e nella scoperta di chi siamo veramente, perché noi siamo sconosciuti a noi stessi, ma resistiamo per essere prigionieri della limitata intelligenza egoica. Acquisire la piena consapevolezza del funzionamento dell’ego toglie il potere e la forza all’illusorietà della condizione umana, e ci permette la presenza e la vigilanza della coscienza, perciò essa ci illumina sulla natura e sulla qualità del cibo di cui nutriamo la nostra mente.
Nella vita dobbiamo essere vigili sul vero funzionamento della nostra mente, perché è così che si evolve la nostra coscienza, in quanto una coscienza desta ci permette di restare liberi dagli inquinamenti esterni. La sofferenza umana nasce quando l’uomo scende a scavare nella sua profondità interiore, sebbene la sofferenza voglia infrangere le identificazioni collegate all'aspetto superficiale della realtà. Il fatto paradossale è che la sofferenza è la strada necessaria per infrangere le falsità egoiche in quanto, la sofferenza è il segno che stiamo disgregando le difese dell'ego: l’unica condizione perché la sofferenza divenga produttiva è che essa sia sempre presente e consapevole di ciò che sta accadendo.
E’ solo una sofferenza consapevole che riesce ad operare fruttuosamente al nostro interno, poiché essa ci dona la lucidità che fa crescere ed evolvere, in quanto acquisiamo il coraggio di avanzare sapendo dove siamo diretti, perciò procediamo con un obiettivo che è un procedere fornito di senso, perciò resistere al cambiamento rallenta sempre il processo evolutivo, perché l’ego non vuole soffrire e usa la nostra paura. Dobbiamo sapere e credere che dal soffrire si può tornare migliorati e nobilitati, perciò l’uomo che soffre non sempre diventa aspro e crudele, ma lo diventa solo se non crede di poter sfuggire al dominio dell’ego: è il nostro ego che usa forma e apparenza per sottomettere l’uomo, in quanto l’ego è sempre nemico dell'Essere.
L’ego è solo l'apparenza mentre l’Essere è la sostanza delle cose, ed è l’unica verità interiore di cui la menzogna è nemica, per questo l’ego ci spinge a fare e vivere in modo frenetico e automatico, così che il nostro livello di guardia e di vigilanza resti al minimo. E’ l’ego che abbassa il livello di presenza e di attenzione a ciò che facciamo, perciò le nostre azioni vengono attuate senza pensare al senso delle nostre azioni: è così che le “cure del mondo” fagocitano la nostra vita in una corsa frenetica ed insensata in cui non troviamo spazio per la riflessione, che è la presenza e l'attenzione alle vere finalità del nostro agire.
Saper restare vigili e calmi, saper restare centrati al momento presente crea in noi lo spazio interno e la disponibilità mentale che sono necessari per accogliere il nostro vero Essere, poiché è la quiete che ci rende ospitali e recettivi. E' la nostra disponibilità a vedere, a sentire, è la nostra mancanza di paura che ci permette di avere la piena ricettività al nostro Essere, perché possiamo diventire consapevoli della nostra autentica natura tramite la presenza ai nostri autentici moventi. E’ così che impariamo a diventare più equilibrati, perciò l’Essere che siamo, e che dorme dietro alle nostre apparenze si sente accettato ed accolto, ed accetta di venire alla luce.
Buona erranza
Sharatan

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