Ascoltare parlare il Maestro Avati, è un pò come partecipare ad un suo film, sentirsi parte integrante della scena. Così in una calda sera di luglio, Pupi Avati, racconta alcuni aneddoti della sua vita, coinvolgendo il pubblico presente, che affascinato dalle sue storie ascolta in religioso silenzioso.
A breve il video della conferenza stampa.
Quarant’anni al servizio del cinema, anni che hanno trasformato Pupi Avati in un vero e proprio maestro italiano della settima arte. In primis, è stato un cinema manifesto dell’orrore e della futilità del presente con un’esaltazione di un passato unico, reso malinconico dai temi musicali (altra sua grandissima passione), poi è diventato il cinema della rinascita. E oggi, ruvido e sentimentale allo stesso tempo, saggio e illuminato, è uno dei re incontrastati di Cinecittà.
Gli esordi
Proveniente da una famiglia borghese, fratello dello sceneggiatore, regista, attore, ma soprattutto produttore Antonio Avati, Giuseppe, detto “Pupi”, si laurea presso la Facoltà di Scienze Politiche di Bologna, impegnandosi poi in una ditta di surgelati. Appassionato di jazz, diventa il clarinettista della Doctor Dixie Jazz Band del capoluogo emiliano, dove suona con il giovane Lucio Dalla. Amante delle pellicole d’orrore e desideroso di mettersi dietro una macchina da presa, esordisce, cinematograficamente parlando, nel 1968, quando gira la pellicola grottesca Balsamus, l’uomo di Satana, storia irreale e gotica di uno stregone nano. Seguirà poi Thomas e gli indemoniati (1969) con il suo attore feticcio Gianni Cavina e un’esordiente Mariangela Melato, dove conferma ancora una volta la sua passione per il paranormale, che però in Italia non viene assolutamente distribuito, segnando un momento di plateau per il regista che ritornerà dietro la macchina da presa solo dopo cinque anni con il felliniano La mazurca del barone, della santa e del fico fiorone con Ugo Tognazzi, Paolo Villaggio, Delia Boccardo e l’immancabile Cavina. Sempre nel 1974 si farà notare come sceneggiatore de Il bacio (1974) diretto da Mario Lanfranchi e Salò e le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini.
Gli anni Settanta e Ottanta
Sono gli anni del censurato e bizzarro fantamusical Bordella (1975) e del suo maggiore successo, l’horror La casa dalle finestre che ridono (1976) storia di un pittore che deve restaurare un affresco in una casa infestata dai fantasmi, i cui buoni risultati lo imporranno come regista di sceneggiati televisivi come “Jazz band” (1978) e “Cinema!!!” (1979), autobiografie dichiarate che danno largo uso del tema de “la nostalgia dei ricordi”. Tema che si ritroverà anche in Una gita scolastica (1983), con un altro dei suoi maggiori attori feticcio, Carlo Delle Piane, basato sui ricordi di un’anziana signora bolognese ultraottantenne che ricorda una gita cui partecipò diciottenne assieme ai compagni di liceo e che gli permetterà di vincere i Nastri d’Argento come Migliore Regista e Miglior Soggetto Originale. Seguiranno poi pellicole contemporanee, amare e crudeli, delle quali è un tipico esempio Regalo di Natale (1986) con la summa dei suoi attori più usati: Gianni Cavina, Carlo Delle Piane, Diego Abatantuono e Alessandro Haber che interpreteranno quattro amici che si ritroveranno per un poker la notte di Natale (che però si rivelerà tutt’altro che amichevole) – storia che sarà poi ripresa nel 2004 in La rivincita di Natale. Membro della giuria al Festival di Venezia nel 1989, otterrà il David di Donatello per la migliore sceneggiatura e i Nastri d’Argento come miglior regista e migliore sceneggiatura per Storie di ragazzi e di ragazze (1989), pellicola su una festa di fidanzamento fra due ragazzi che metterà in luce le differenze fra i loro rispettivi nuclei familiari.
Gli ultimi anni
Per larga parte degli anni Novanta seguono pellicole non proprio entusiasmanti, eccezion fatta per l’ottimo Festival (1996), film ambientato nel mondo del cinema e con un cast eccezionale, che gli farà vincere il Nastro d’Argento come miglior regista. Si accoderanno il fantastico L’arcano incantatore (1996), il drammatico Il testimone dello sposo (1998), la commedia La via degli angeli (1999) e l’avventuroso I cavalieri che fecero l’impresa, tratto da un suo libro. Mentre nel 2003, ottiene il David di Donatello per la migliore regia per Il cuore altrove con la coppia Neri Marcoré e Vanessa Incontrada, storia d’amore fra un giovane insegnante e una viziata ragazza cieca nella Bologna degli anni Venti. E dopo il biografico Ma quando arrivano le ragazze? (2005), tornerà a dirigere Marcorè in La seconda notte di nozze (2005), tratto da un suo libro e l’Incontrada in La cena per farli conoscere (2007), con un ritrovato Abatantuono. Nel 2010 torna al cinema con la commedia amara Il figlio più piccolo. Tecnicamente è diventato così perfetto da poter essere considerato un autore con la A maiuscola, che ben sa prendere di petto il mestiere del regista.
fonte: da wikipedia
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