di Maria Serra e Giuseppe Dentice
Che la situazione in Mali stesse rapidamente precipitando si era già capito quando dallo scorso 7 gennaio le forze islamiste presenti nell’Azawad hanno iniziato l’offensiva verso sud, tentando di portare a compimento quel processo di conquista del Paese iniziato ufficialmente nel marzo dell’anno scorso con il colpo di Stato militare con cui era stato rimosso il Presidente Amadou Toumani Tourè. Da allora questi guerriglieri, finanziati e supportati militarmente da Al Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM) – per lo più radicato nell’area del Sahel (dal Senegal a Sudan, passando per Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Ciad) – sono riusciti ad assumere il controllo di sempre più larghi territori, richiedendo, per lo più nel silenzio dei media internazionali, due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che non solo non hanno portato ad una soluzione “pacifica” della crisi ma, anzi, che hanno creato fin dall’autunno i presupposti dell’intervento a cui stiamo assistendo. La missione di “addestramento” dell’esercito maliano ha di fatto lasciato il passo ad un’operazione targata Eliseo, e sostenuta dall’Occidente, dal triplice scopo: arginare il terrorismo nell’Africa Occidentale, salvaguardare gli interessi economici (specialmente quelli riferiti ai giacimenti di uranio, petrolio, gas e fosfati dislocati sotto le dune del deserto del Sahel) e, soprattutto per la Francia, confermare quella politica di Françafrique di degaulliana memoria già rimessa a lucido con l’“operazione Liocorno” in Costa d’Avorio ancora prima che con la Libia.
Chi e dove sono i ribelli islamisti - Le forze che agiscono nelle aree settentrionali del Paese, sono gruppi alquanto eterogenei, e in parte collegati alla galassia jihadista legata al mondo di al-Qaeda. Le milizie in questione sono quelle di Ansar Eddine, del Movimento per l’Unicità e la Jihad nell’Africa occidentale (MUJAO), di Al-Qaida nel Maghreb islamico ed, infine, i Tuareg del MNLA, forze assai agguerrite e ben armate che possono avvalersi anche dei rinforzi islamisti provenienti da Nigeria, Algeria e Mauritania legati alla galassia salafita.
a) Ansar Eddine (Difensori della Fede)
E’ un gruppo fondamentalista islamico nato in Mali tra il 2011 e il 2012, strettamente legato ad Al-Qaeda. Al suo interno la milizia raggruppa criminali comuni, islamisti provenienti dalle esperienze afghane e irachene e tuareg che seguono la dottrina salafita e professano l’instaurazione della sharia coma norma fondante lo Stato islamico dell’Azawad e del Mali conquistato per intero. Il suo leader è Iyad Agh Ghali, ribelle tuareg maliano che ha fatto parte del Movimento popolare dell’Azawad durante gli anni Novanta. Nell’aprile del 2012, Ansar Eddine e AQIM hanno diffuso un manifesto di alleanza per la presa del potere a Timbuctu, con la benedizione dello stesso Ayman al-Zawahiri, numero 1 di al-Qaeda: i due gruppi predicano una rigida teocrazia da estendere a tutto il Paese, facendo del Mali un laboratorio e un modello per il fondamentalismo islamista internazionale da esportare in tutto il mondo arabo e islamico.
b) AQIM (Al Qaeda in the Islamic Maghreb)
Nato dalle ceneri del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC – al-Jamāʿa al-salafiyya lil-daʿwa wa l-qitāl), gruppo terrorista islamista nato e radicatosi negli anni Novanta durante la guerra civile algerina con lo scopo di ribaltare il governo dell’Algeria ed istituirvi uno Stato islamico, al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM) nasce ufficialmente nel 2005 affiliandosi ad al-Qaeda e rinominandosi due anni più tardi con il suo nome attuale. La milizia è diventata ben presto parte attiva nella guerra civile maliana e forza politica con la dichiarazione d’indipendenza dell’Azawad. La presenza di cellule di AQIM in tutto il Sahel – ed in particolare tra Mali, Niger, Mauritania e Algeria, dove le autorità governative faticano a pattugliare il vasto territorio – costituisce una seria minaccia alla sicurezza della regione anche a seguito dei numerosi attentati, principalmente contro le forze di polizia locali, e dei sequestri nei confronti di turisti e cooperanti internazionali e occidentali.
c) MUJAO (Mouvement pour l’Unicité et le Jihad en Afrique de l’Ouest)
Nato nel 2012 da una costola del GSPC, è l’unico gruppo tra quelli presenti in Mali che fa parte ufficialmente dell’elenco di organizzazioni terroristiche del Dipartimento di Stato USA e del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dal 2012. L’organizzazione, attiva tra Algeria e Mali, come il suo omologo Ansar Eddine predica l’applicazione rigorosa della legge islamica e si dedica principalmente al sequestro di occidentali. Pur perseguendo obiettivi molto simili a quelli di AQIM, da metà del 2011 si distanzia da quest’ultimo per la diversità di vedute circa l’esportazione del jihad in tutta l’Africa Occidentale. Molti dei suoi affiliati provengono da esperienze attive nel mondo salafita algerino, mauritano, nigerino e maliano e della guerra civile libica del 2011.
d) MNLA (Mouvement National de Libèration de l’Azawad)
Organizzazione militare e politica maliana sorta nell’ottobre del 2011, promuove l’autodeterminazione e l’indipendenza dell’Azawad. Composto in gran parte da nomadi Tuareg, è costituito anche da reduci della rivolta del 1990 e del 2006 con protagonisti i Movimenti e fronti unificati dell’Azawad (MFUA) e del Movimento Tuareg Nord-Mali (MTNM), da combattenti libici anti-gheddafiani, da volontari di diverse etnie saheliche (songhai, peul e mauri) ed, infine, da disertori dell’esercito maliano. Nelle prime fasi della guerra civile, ossia fino all’indipendenza del Nord del Paese, il MNLA è stato alleato di Ansar Eddine, AQIM e Mujao fino a quando ha abbandonato il radicalismo delle posizioni degli ex alleati sancito definitivamente nella cosiddetta battaglia di Gao (giugno 2012), in cui i Tuareg hanno definitivamente perso il controllo della città e della porzione di territorio sotto il loro controllo.
e) Diffusione gruppi ribelli e terroristici nel Sahel e in Africa Occidentale
- Mali: Ansar Eddine, Aqim, Mujao, Mnla;
- Mauritania: Aqim e Ansar Eddine;
- Niger: Aqim e Mujao;
- Algeria: Aqim; Ansar Eddine e Mujao;
- Nigeria: Boko Haram e Aqim;
L’intervento - Muovendo da Konna e Douentza, l’obiettivo dichiarato dei ribelli è la conquista di Mopti, nodo strategico che non solo unisce il nord e il sud del Mali e che conduce direttamente alla capitale Bamako, ma che è anche il principale centro commerciale, su cui nel corso degli ultimi anni sono stati diretti numerosi finanziamenti per lo sviluppo e che mette in collegamento il Mali con gli altri Stati dell’area. Fin dallo scorso 5 gennaio, la direzione di Ansar Eddine aveva annunciato la rottura della tregua che grosso modo veniva osservata da mesi, accusando Bamako di “reclutare mercenari” e “mobilitare, su base razziale, migliaia di miliziani lungo la linea del fronte per schiacciare le popolazioni del Nord”. Sembrerebbe, inoltre, che negli ultimi giorni si siano aggiunti anche uomini del gruppo di Boko-Haram, provenienti dalla Nigeria, che avrebbero installato una base militare nella località di Bambara Maoudé. Non potendo contare sul supporto dell’Algeria – che sin dall’inizio della crisi, e per ragioni di carattere interno, si è dichiarata contraria all’intervento nel conflitto -, né su quello della Mauritania – che ultimamente ha scelto la linea del dialogo con i tuareg –, il Presidente ad interim Dioncounda Traorè ha chiesto il sostegno della Francia, ex Madre Patria, il cui intervento non è tardato ad arrivare e che ha portato all’immediata riconquista di numerose aree intorno a Mopti, fino alla stessa Konna, chiudendo la strada per Savarè e per il suo aeroporto internazionale. Per tutto il fine settimana i bombardamenti francesi si sono inoltre susseguiti su Gao, colpendo i depositi di armi del Mujao, e su Kidal, nel nord dell’Azawad, dove Iyad Agh Ghali.
Traorè sta ancora premendo affinché l’Algeria assuma una posizione nella crisi e, soprattutto, conceda lo sfruttamento del proprio spazio aereo per permettere ai caccia di Parigi di effettuare le operazioni nel nord del Mali. Eppure, proprio da Algeri arrivano voci di condanna nei confronti dell’intervento francese: il Movimento algerino per la pace sociale (Homs), che fa capo ai Fratelli Musulmani, e il partito islamico Ennahda hanno dichiarato che l’iniziativa blocca qualsiasi sbocco pacifico e costituisce una minaccia alla sicurezza dell’Algeria e dell’intera regione del Sahel nord africano. Ma non sono solo le opposizioni a pensarla così: anche il governo di Bouteflika (con un occhio già alle elezioni presidenziali del 2014) resta assai prudente e, al di là del chiudere le frontiere con il Mali, si sta limitando a perorare l’utilizzo della diplomazia.
François Hollande – che ha dichiarato che l’intervento durerà “finché necessario” per ristabilire l’ordine, per proteggere i propri cittadini (circa 6mila nel Paese), nonché per mettere in salvo gli otto ostaggi francesi rapiti nel Sahel dal 2010 (tra cui quattro dipendenti del gruppo nucleare Areva) – ha annunciato che le operazioni si stanno conducendo nel pieno rispetto del diritto internazionalee delle decisioni prese dalle Nazioni Unite lo scorso 20 dicembre, quando fu approvato il dispiegamento di una forza militare di 3.300 uomini degli eserciti dei Paesi dell’Africa Occidentale. È vero, però, che sia il Consiglio di Sicurezza, sia Romano Prodi, inviato speciale dell’ONU per il Sahel, avevano precisato che un intervento militare non sarebbe avvenuto prima del prossimo mese di settembre, dando quindi il tempo all’esercito regolare maliano di essere formato e sperando che la situazione potesse essere eventualmente risolta senza il coinvolgimento di Stati esterni.
Di fatto, mentre Parigi sta rischiando di impantanarsi in Somalia (dove ha fallito un blitz per liberare il proprio agente segreto Dennis Allex), sono in arrivo a supporto di Bamako contingenti dai vicini Paesi dell’ECOWAS: dalla Nigeria sono attesi circa 600 militari, mentre altre 500 unità complessive stanno giungendo da Niger, Burkina Faso e Senegal; altri 300, infine, sarebbero previsti dal Benin. Un rafforzamento che sembra destinato ad essere necessario per potenziare le operazioni di terra, specialmente se i fronti di battaglia dovessero aumentare inducendo gli eserciti maliano e francese a dividersi su più fonti: secondo i media maliani, infatti, un commando di miliziani di AQIM, entrando dal confine mauritano, avrebbe conquistato un villaggio nei territori meridionali, nella zona di Diabaly, ancora controllata dalle forze governative.
Il coinvolgimento internazionale…? – Anche gli Stati Uniti, come ha asserito il consigliere per la Sicurezza della Casa Bianca, Tommy Vietor, hanno condiviso fin da subito “l’obiettivo francese di impedire ai terroristi di installarsi nella regione”. Un obiettivo che da tempo muove le scelte della Casa Bianca, che negli ultimi anni hanno installato in tutta l’Africa sub-sahariana strutture d’appoggio per operazioni di counter-terrorism, e che oggi, dopo i fatti di Bengasi, viene avvertito ancora di più come una necessità. Una priorità, quella della sicurezza nel Sahel, che sta ben presto scalzando le strategie in Afghanistan, come d’altra parte dimostra la vaghezza dei contenuti dei colloqui tra Obama e Karzai lo scorso 11 gennaio. È così che secondo il New York Times starebbero per arrivare in supporto di Parigi droni e altri mezzi di supporto logistico, Predator e Reaper, dotati di missili Hellfire: tutti strumenti ad alta tecnologia, limitando comunque al minimo il numero dei soldati. Anche il Segretario uscente Panetta ha confermato che non ci sarà il coinvolgimento di truppe di terra. Restano infatti troppi gli scenari in cui gli USA sono coinvolti in prima persona. Probabilmente gli ulteriori nodi circa la conduzione delle operazioni si potranno meglio definire all’indomani dell’insediamento di John Brennan alla CIA e, soprattutto, di Chuck Hagel al Pentagono, sempre più focalizzato su attività di intelligence grazie anche ad una lenta trasformazione della Defence Intelligence Agency (DIA), per lo più impegnata nell’ultimo decennio in Afghanistan e Iraq, in un più sofisticato servizio di spionaggio nelle aree più calde del mondo. E sempre su Hagel Obama sta puntando per rilanciare la guerra al terrore nei prossimi 4 anni.
Il Ministro francese della Difesa Jean-Yves Le Drian dovrebbe d’altra parte nei prossimi giorni parlarne anche con i partner europei, Germania e Gran Bretagna in primis. Soprattutto quest’ultima si è impegnata fin dalle prime battute inviando droni di sorveglianza e aerei spia, nonché aerei C-17 da trasporto, che hanno fatto scaleo in Francia per “caricare materiale militare”. Al di là delle dichiarazioni del capo della Diplomazia europea Catherine Ashton – che ha annunciato di voler stringere i tempi “nella preparazione dell’invio di una missione militare in Mali, che fornirà addestramento all’esercito maliano” – e del Presidente della Commissione Josè Manuel Barroso – che ha parlato di “coraggiosa azione delle truppe francesi” – ancora non è chiaro quale sarà il grado di coinvolgimento europeo nella faccenda maliana, finora consistito in un semplice supporto logistico senza intervento diretto. Romano Prodi, in un’intervista a Die Welt, ha dichiarato che l’“Europa è unita sul Mali”, ma l’esperienza libica, unita alle priorità economiche, non lasciano intravedere capacità su più ampia scala. Discorso diverso sarebbe se venisse direttamente coinvolta la NATO, la quale, tuttavia, impegnata nel pantano siriano, sta cercando di smarcarsi da un nuovo ed ostico scenario. E d’altra parte la Francia non ne sta nemmeno invocando eccessivamente l’aiuto. Se da un lato le farebbe comodo il supporto dei partner europei, dall’altro è anche vero che Parigi ha l’occasione di recuperare la propria influenza in uno spazio verso il quale non ha mai smesso di guardare né culturalmente, né tanto meno economicamente.
Stridono in effetti come non mai le parole del Presidente francese pronunciate nell’ottobre del 2011 a pochi mesi dallo scontro con quel Sarkozy duramente criticato per la campagna in Libia: “notre République portera une nouvelle politique à l’égard de l’Afrique” che “répudiera sans regrets les miasmes de la Françafrique“. Ma era, appunto, campagna elettorale.
* Maria Serra è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università di Siena)
* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)