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Il “Manifesto per il bene comune della Nazione”

Creato il 09 ottobre 2012 da Vignals

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da Destra.it

Un «manifesto per il bene comune della Nazione»: è il titolo del documento proposto da Gaetano Quagliariello e Maurizio Sacconi della Fondazione Magna Carta, Maurizio Gasparri di Italia protagonista, Roberto Formigoni di Rete Italia, Mariastella Gelmini di Liberamente e Gianni Alemanno della Nuova Italia. Lo scopo è sostenere temi tradizionali come la difesa della vita, della famiglia e della comunità. Contribuendo – è scritto nella presentazione – «alla rielaborazione delle idee liberali e comunitarie per declinare alla luce delle sfide del presente e del futuro i valori della nostra tradizione nazionale. Solo dai conservatori delle cose buone, infatti, può venire un’autentica spinta al cambiamento e alla modernizzazione».

Questo manifesto di intenti si propone di contribuire alla rielaborazione delle idee liberali e comunitarie, per declinare alla luce delle sfide del presente e del futuro i valori della nostra tradizione nazionale. Solo dai conservatori delle cose buone, infatti, può venire un’autentica spinta al cambiamento e alla modernizzazione. Il presente documento è aperto all’adesione e al contributo di tutte le altre associazioni e fondazioni dell’area di centrodestra.

Le sfide della società post-moderna
Le grandi trasformazioni del nostro tempo richiedono una capacità di governo che sappia coniugare competenza e visione, sostenute da principi morali e da una coerente intelaiatura intellettuale. Per vincere la sfida, la rappresentanza politica dei “liberi e forti” costruttori di benessere per sé e per gli altri, dovrà rivelarsi attrezzata non solo per l’assunzione di decisioni efficaci ma anche per l’affermazione di una cultura di riferimento. A fronte di una compressione della dimensione assistenzialistica dello Stato, sono infatti i valori e la conseguente visione della persona e della società a mobilitare quest’ultima verso obiettivi di crescita. Si tratta di risvegliare nel corpo vivo della nazione quel principio di verità e di responsabilità che deriva dalla tradizione dei padri, rifiutando quel pensiero debole in nome del quale la sinistra, nel tentativo di tenere insieme ciò che insieme non può stare, relativizza la dimensione dell’uomo e coltiva la pretesa giacobina di poter tutto risolvere nello Stato. E’ nel riferimento alla tradizione che credenti e non credenti possono rintracciare una verità condivisa sulla quale fondare il laico esercizio delle funzioni pubbliche. La grave crisi che ha investito l’Occidente origina proprio da una perdita di senso che ha causato il declino demografico, la riduzione della capacità innovativa delle giovani generazioni e l’illusione di poterla sostituire con la finanza virtuale e con la perpetuazione di sistemi di protezione sociale ormai insostenibili. E se questa è la genesi della crisi, è evidente che la risposta ad essa non può essere meramente tecnocratica. L’esperienza ci insegna che il sistema capitalistico ha funzionato quando ha fondato il perseguimento del benessere dei più – e potenzialmente di tutti – su quella base etica che considera la persona fine ultimo e misura di ogni azione umana. E la persona nella nostra tradizione non è un’entità isolata, portatrice di desideri privati che si fanno illimitatamente diritti pubblici. Al contrario, la persona è naturalmente portata alle relazioni con le altre persone e in esse trova il senso della vita: dalla famiglia alle infinite forme comunitarie – inclusa l’impresa, spesso di origine familiare – ove condivide interessi e valori con gli altri. Una antropologia positiva in luogo dell’homo homini lupus. A fronte di una tendenza nichilistica al declino, è la promozione della centralità della persona e del valore della vita dal concepimento alla morte naturale il presupposto per lo sviluppo della società, per la sua vitalità economica e demografica, che si nutre della difesa della famiglia naturale, del principio di sussidiarietà, della libertà delle scelte educative.

L’Occidente, l’Europa, l’Italia e la sfida della sovranità
Una nuova fase dello sviluppo richiede anche una sua equa distribuzione in un quadro di stabilità geopolitica e finanziaria. L’Occidente ha ancora molto da offrire al mondo se ritrova le proprie radici e le afferma nel dialogo con le altre culture. Al binomio identità – incontro si devono ispirare gli stessi processi di integrazione indotti dai flussi migratori. Da questa concezione, oltre che da una nozione identitaria dell’Italia e dell’Europa, deriva una idea di cittadinanza ben diversa da quell’attribuzione meccanica e burocratica di diritti che tanti guai ha provocato nei Paesi che hanno ceduto all’abbaglio del multiculturalismo. Ne discende, piuttosto, una idea della cittadinanza quale risultato di un libero e motivato percorso di ingresso nella comunità nazionale della quale, fermi restando i diritti fondamentali di ogni persona in quanto tale, si conoscano e riconoscano gli elementi fondativi. Le degenerazioni fondamentaliste e il terrorismo richiedono risposte ferme sotto il profilo culturale e sul piano della sicurezza. Ma la sconfitta di questi fenomeni si realizza anche rinnovando in termini di trasparenza e responsabilità quegli assetti capitalistici che si sono rivelati fonte di instabilità e di incertezza per le persone. Il rischio e’ componente necessaria del capitalismo ma diventa azzardo nella opacità e nella irresponsabilità. L’integrazione europea può essere fonte di stabilità e di crescita solo se fondata sulle culture da cui originano le comunità nazionali e conseguita attraverso un percorso nel quale il nostro legittimo interesse nazionale possa trovare rappresentazione. La cessione di sovranità nazionale all’Unione nelle materie della moneta, della spada e della feluca si deve accompagnare non solo con la concreta adozione di strumenti comuni di sicurezza ma soprattutto con una visione geopolitica condivisa delle relazioni strategiche con l’Europa dell’Est, con il bacino mediterraneo e con la dimensione transatlantica che impediscano al continente di circoscrivere la propria traiettoria di sviluppo verso il Baltico. La politica energetica è componente essenziale di questa visione, così come l’Unione ha il compito di semplificare la propria regolazione interna e di negoziare regole eque del commercio globale in modo da salvaguardare le proprie imprese dalla ingiusta competizione con attività sregolate. L’Italia, infine, può e deve recuperare sovranità abbattendo il suo debito attraverso la valorizzazione finanziaria del suo patrimonio pubblico mobiliare e immobiliare. Ne deriverebbe una minore dipendenza dall’esterno per le ridotte esigenze di collocamento dei titoli di Stato e l’avvio di un significativo contenimento della pressione fiscale.

La crisi e la sfida dell’economia sociale di mercato
I valori della tradizione proiettano verso l’idea di una economia sociale di mercato fatta di meno Stato più società, più efficienza pubblica meno tasse, meno diritto pubblico più diritto privato, meno leggi più contratti, meno giustizia pubblica e più disponibilità alle soluzioni stragiudiziali. Né le ragioni di rigore indotte dall’emergenza possono in alcun caso condurre alla desertificazione della diffusa vitalità locale. Più che con interventi generalizzati, la conservazione dei fattori di dinamismo e il superamento delle inefficienze si conciliano applicando criteri di responsabilità. Il federalismo fiscale, in particolare, sostituisce con parametri equi di buon governo il riferimento alla spesa storica, e introducendo il principio di responsabilità consente di addebitare il fallimento politico agli amministratori incapaci. Lo stesso sistema di protezione sociale può risultare più efficace ed efficiente se privilegia le dimensioni comunitarie, meno onerose e più inclusive rispetto alla dimensione statuale in quanto fondate sulle relazioni fra le persone. Lo dimostrano già le buone pratiche sussidiarie in materia di integrazione socio-sanitaria (con le quali si evitano i ricoveri ospedalieri inappropriati), di lotta alla povertà, di pluralismo educativo. La sconfitta di ogni solitudine non si realizza attraverso le fredde burocrazie ma si compie attraverso il cuore degli uomini e il calore delle comunità. Anche l’impresa, che in Italia è spesso di origine familiare, può valorizzare ulteriormente il suo carattere comunitario attraverso accordi aziendali prevalenti sugli stessi contratti nazionali, con i quali imprenditori e lavoratori concordano gli obiettivi, distribuiscono in proporzione i risultati, adattano la regolazione dei rapporti di lavoro dall’assunzione al licenziamento, organizzano forme di protezione sociale rivolte alla tutela del valore reale del salario, ai servizi di cura dei minori, allo studio dei figli, alla salute dei nuclei familiari, alla previdenza complementare, al sostegno assicurativo della non autosufficienza. Quanto alla ricerca del lavoro, essa dovrebbe essere supportata mediante servizi non solo dalle funzioni pubbliche o dalle attività private ma dalle stesse parti sociali, in modo da conferire a ciascun territorio quella valenza comunitaria che non abbandona nessuno nelle transizioni difficili della vita. Il diritto di ciascuno alla occupabilità si realizza integrando scuola e lavoro, rivalutando lo studio della matematica ed il lavoro manuale, collegando università ed imprese.

La sfida delle istituzioni
Nessuna reale innovazione potrà tuttavia compiersi in assenza di un quadro istituzionale efficiente e di una organizzazione dello Stato che assicuri una legittimazione adeguata alla sfida della sovranità che la crisi ci ha posto di fronte. In questo quadro, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica rappresenta l’unica innovazione in grado di garantire unità della nazione, oggettivazione del fattore carismatico, autorevolezza nelle sedi delle decisioni sovranazionali, autonomia e responsabilità dei territori, e un viatico per la faticosa conciliazione della questione settentrionale con quella meridionale. Ma prima ancora, vi è una riforma decisiva per il superamento della fragilità politico-istituzionale del nostro Paese: la riforma della giustizia e del suo rapporto con la politica, in assenza della quale nessun governo sarà mai pienamente legittimato a operare per il bene del Paese. Ne sono contenuto necessario una effettiva operatività dei principi costituzionali del giusto processo; una più compiuta responsabilizzazione del magistrato rispetto all’applicazione di norme e procedure spesso disattese; una autentica parità fra le parti, presupposto della terzietà del giudizio; un recupero della centralità del processo quale luogo di formazione della prova nel contraddittorio fra le parti; una forte promozione della mediazione, della conciliazione e dell’arbitrato nella giustizia civile e del lavoro; una maggiore deterrenza nei confronti delle liti temerarie. La stabilità istituzionale e la certezza dei rapporti giuridici sono un bene primario per ogni società impegnata a crescere nel nuovo contesto competitivo. La giustizia giusta, efficiente e imparziale è peraltro componente necessaria dell’impegno istituzionale contro il crimine, caposaldo per la sicurezza delle comunità. Si riconducono infatti alle forze liberali e popolari di governo le discipline e le pratiche più efficaci per il contrasto della criminalità organizzata, mentre in altre coalizioni sono emerse propensioni al cedimento e al compromesso direttamente proporzionali all’uso della giustizia come strumento di lotta politica.

Conclusione
L’Italia è insomma a un bivio. Può ancora avere un grande futuro se lo costruisce con il cuore antico della sua tradizione e con la modernità di un progetto fondato sulla efficienza di una dimensione pubblica essenziale e, soprattutto, sulla vitalità della sua società.


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