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Il marchio dello scrittore

Da Marcofre

Col termine “marchio dello scrittore”, chi legge potrebbe pensare che si vuole ridurre il ruolo di chi scrive a quello di una bibita, un detersivo, un’automobile. Ne dubito: Torquato Tasso per scrivere la sua opera “Gerusalemme Liberata” prende dei soldi (e fa effettuare una sorta di editing da alcuni eruditi. Anche per evitare grane con il potere ecclesiastico).

Eppure nessuno si sogna di dire che ci troviamo davanti a robetta.

Il marchio dello scrittore è la sua voce. Qualcosa che non può essere replicato perché ha a che vedere con la sua storia, la sua personalità, gli incontri, i libri che ha letto, le persone incontrate, i dolori, eccetera eccetera.

Il bravo lettore (tranquilli, ce ne sono pochi), non si “beve” qualunque cosa, ma capisce al volo se si trova davanti a qualcuno capace di raccontare una storia, e svelare il mistero dell’essere umano.

Questo succede di solito perché chi scribacchia non sta al riparo: incassa i pugni. A volte li restituisce ma più spesso li prende, e pure tanti. Non è affatto una persona superiore come certa cattiva opinione da anni cerca di far credere. Lo scrittore che se ne sta chiuso nel suo studio, o stanzetta, in attesa dell’illuminazione.

Questa è follia pura.

Chi scribacchia non ha alcun bisogno di un bagno di realtà perché la conosce bene. L’ha frequentata sin troppo, conosce alla perfezione la sua faccia lurida. Però la ama perché ne è parte. Perché è così, e nasconderla o dire che è brutta e cattiva e allora è meglio parlare di prati e cerbiatti e cieli azzurri, non cambia di una virgola il panorama.

Quando Flannery O’Connor scriveva le sue storie di poveracci e assassini, riceveva critiche o attacchi da parte di lettori che non gradivano. Forse, alcuni l’avranno anche accusata di fomentare la violenza, e mentre formulavano una simile accusa, battevano le mani davanti agli esperimenti nucleari del Governo statunitense nel deserto del Nevada.

Secondo alcuni la letteratura deve o intrattenere, oppure essere educativa. No: deve essere efficace e di valore, come ripeto spesso. Intrattenimento o propositi educativi non fanno parte del suo Dna. Che poi le classifiche siano piene sia di libri educativi che di intrattenimento, non mi sorprende affatto, anzi.

E la voce dello scrittore? Il suo marchio, in tutto questo, che senso ha? Parecchio, mi pare. Chi legge potrebbe farmi notare a questo punto che anche chi scrive di intrattenimento ha la sua voce, eccome.

Giusto rilievo.

Quello che fa la differenza non è mai un solo elemento, ma diversi. Il marchio di Tolstoj seduce ancora perché lo scrittore russo è stato capace di coniugare prosa, visione, efficacia e valore. Il risultato? Una macchina narrativa che quando si mette in moto, entra in conflitto col nostro piccolo mondo. Di solito la narrativa di intrattenimento si mette in moto, ci prende a braccetto e ci conduce a nanna.
Quella di Tolstoj, ci sveglia dal sonno.

 


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