>di Giuseppe Dentice
Dopo il vittorioso “SI” al referendum dello scorso 1 luglio per la nuova Costituzione voluta da Re Mohammed VI per arginare i possibili riflessi della “Primavera Araba”, il Marocco si appresta ad affrontare domani 25 novembre le elezioni anticipate. Anche qui, come avvenuto recentemente in Tunisia, e come potrà accadere in Egitto qualora le elezioni del 28 novembre fossero confermate, i grandi favoriti sono i partiti di opposizione laica e islamica, anche se nel corso degli ultimi mesi i sondaggi politici sono stati spesso contrastanti. Le legislative marocchine saranno il banco di prova per capire se il Paese si è effettivamente avviato sulla via della democratizzazione o se, invece, proseguirà nel mantenimento dell’attuale status quo.Il panorama internoSi nutrono molte aspettative su queste elezioni: 4mila osservatori locali e internazionali, controllori di ONG e associazioni varie di diritti umani si sono mobilitate per garantire una corretta e giusta tornata elettorale. L’osservato speciale non sarà tanto Re Mohammed VI, quanto il suo accolito di consiglieri personali, burocrati e partiti di governo (i quali solitamente rappresentano il 90-96% dei seggi), accusati di malgoverno e corruzione. In particolare, alcune personalità politiche di alto profilo e direttamente legate alla famiglia reale, come Fouad el-Himma – ex Primo Ministro e leader del Parti de l’Autenticité et de la Modernité (PAM, primo partito in Parlamento per numero di seggi) – e Mounit Majidi – soprannominato il “Rami Makhlouf del Marocco” –, importanti e influenti consiglieri personali del Re, vengono considerati dalle opposizioni e dalla popolazione l’emblema della corruzione nel Paese. In effetti, un po’ sull’esempio della Giordania, non è la legittimità del potere della monarchia alawita maghrebina ad esser messa in discussione. E d’altra parte, pur ascrivendosi all’interno della stagione di rivolte arabe, le proteste in Marocco rappresentano una certa particolarità rispetto al contesto regionale, in quanto esse raccolgono le recriminazioni sociali presenti in altre manifestazioni, come quelle del movimento Occupy Wall Street negli Stati Uniti e degli Indignados in Spagna e in Israele. Infatti, le proteste sono dirette contro quello che in arabo è definito “Makhzen”, ossia il feudalismo e i privilegi tipici di una società ancora ampiamente rurale.I partiti politici e il rischio astensionismoConsiderato l’alto numero delle formazioni politiche che si contenderannoi 395 seggi del Parlamento – ben 33 – e la discordanza dei sondaggi elettorali, si evince quanto siano delicati gli equilibri che potrebbero derivare da queste consultazioni e quanto incerto potrebbe continuare ad essere il futuro del Paese nord-africano.Inoltre, se il clima di scetticismo coinvolge soprattutto i partiti tradizionalmente di governo, come il partito conservatore Istiqlal, l’Union Socialiste des Forces Populaires (USFP), il Parti de Pogrès et du Socialisme (PPS) – questi ultimi riuniti nella “Koutla dimoqratiyya” o “blocco democratico” – e i due partiti di coalizione “Rassemblement National des Indépendents” (RNI) e “Mouvement Populaire” (MP), anchele forze di opposizione maggiormente attive nelle proteste in questi mesi non sono esenti da critiche. Infatti, il “Movimento 20 Febbraio” e il partito islamico “Giustizia e Sviluppo” si approcciano alla tornata elettorale divisi e in perdita di consenso. Il primo, il 20 Février – un grande movimento apartitico e apolitico, che riunisce ampie fasce della società civile – arriva all’appuntamento elettorale diviso al suo interno e fortemente intenzionato a boicottare l’evento, in quanto ha ritenuto non soddisfacenti le aperture democratiche della monarchia e inconsistenti le devoluzioni di poteri al governo. Il secondo, il Parti de la Justice et du Développement (PJD), invece, vivrebbe una certa perdita di consensi – nonostante alcuni sondaggi lo vedano tra i favoriti delle elezioni – a causa dell’atteggiamento di condiscendenza nei confronti della monarchia e della scarsa attenzione nei confronti della popolazione rurale e berbera, la maggioranza nel Paese (circa il 90%).Il rischio astensionismo, dunque, potrebbe risultare il vero vincitore di queste elezioni, anche alla luce delle precedenti e deludenti esperienze (nel 2007 l’affluenza alle urne si fermò al 37%). Questo dato sembrerebbe essere quasi in contrasto con l’alta affluenza (circa il 73%) al referendum di luglio sulla nuova Costituzione. Infatti, gli inviti al boicottaggio sono arrivate, oltre che dal “20 Février”, anche da altre fazioni, come il movimento islamico Giustizia e Carità – considerato dal regime marocchino un gruppo fuorilegge e “capace di rovesciare con la forza la monarchia marocchina e stabilire una repubblica islamica” –, dalle tre piccole formazioni della sinistra radicale, il Parti Socialiste Unfié(PSU), il Partide l’Avant-garde Démocratique et Socialiste (PADS), la Voie Démocratique (Annahj) e parte delle organizzazioni del movimento berbero Amazigh, che hanno lamentato l’inutilità della consultazione sia a causa di una Costituzione che non garantirebbe la transizione dall’autoritarismo monarchico ad un effettivo regime parlamentare, sia a causa della scarsa credibilità dei partiti politici, considerati nella maggior parte dei casi delle “caste” intoccabili e prive di valori.Per contrastare tale rischio, Rabat ha deciso, dunque, di adottare misure drastiche come già accaduto in occasione del referendum costituzionale, quali il divieto da parte dei media di diffondere appelli alla diserzione delle urne e di divulgare sondaggi elettorali nelle ultime due settimane di campagna elettorale. Oggi come in luglio, però, le accuse di abusi e intimidazioni varie delle forze dell’ordine sono state molteplici.Il futuro esce dalle urneIn questo quadro, le elezioni non devono distrarre l’opinione pubblica internazionale dai reali problemi del Paese. Sebbene la nuova Costituzione sia un passo avanti sulla strada della democratizzazione, molti poteri, come quello giudiziario, rimangono fortemente nelle mani del sovrano e di una cerchia ristretta di uomini di affari legati alla corona alawita. Infatti, il Paese dell’Atlante resta uno degli Stati con il più alto grado di sperequazione sociale al mondo: il 70% della popolazione è sprovvista di copertura medica, il 30% non ha accesso alle forniture d’acqua e di elettricità e l’analfabetismo affligge circa il 50% degli abitanti; il Marocco, inoltre, è sceso alla 130esima posizione nell’indice di sviluppo umano del United Nations Development Programme (UNDP) e nell’indice di democratizzazione dell’Economist Intelligence Unit, in cui Rabat occupa la 116esima posizione su 167 Paesi.Considerando che il processo di transizione democratica sarà ancora lento e graduale, il risultato di queste elezioni sarà esaminato con molta attenzione da tutti gli osservatori internazionali, i quali capiranno se la monarchia “riformista” marocchina potrà essere realmente un esempio anche per i Paesi coinvolti nella Primavera Araba. Ma l’importanza di questa tornata elettorale rappresenta una grande prova anche per il futuro dello stesso Paese del Maghreb. Infatti, il risultato delle urne potrebbe garantire o una prosecuzione dell’attuale status quo, con conseguente aumento dell’incertezza sulla stabilità del Paese, o un effettivo cambiamento che potrebbe di fatto aprire una nuova stagione politica, confermando, dunque, la peculiarità del Marocco all’interno del panorama regionale.* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)