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Il meccanismo di riproduzione della casta e la crisi della politica

Creato il 27 settembre 2012 da Cremonademocratica @paolozignani

Ogni partito ha bisogno di ricambio generazionale, ma non può certo imporre all’elettorato (l’attuale legge elettorale può indurre anche al non voto), persone prive di rappresentatività sociale e/o territoriale. Per il partito, il metodo di reclutamento più semplice e immediatamente gratificante, che offre anche la possibilità di far apparire l’inserimento di un giovane in politica come un premio per la sua attività sociale, è la ricezione di personalità locali la cui rappresentatività è già confezionata da altri apparati sociali, come ad esempio una cooperativa, una società, oppure una professione a contatto diretto con un ampio pubblico.

Così la rappresentatività sociale, cioè il consenso che riceve quella personalità locale, viene trasformata in personalità politica: il seggio di consigliere comunale è direttamente accessibile. Questa traslazione dal sociale al politico avviene automaticamente, senza che la politica dia un proprio segnale, proprio per non disturbare la rappresentatività sociale, dunque il bacino di consenso e il potenziale elettorato del nuovo esponente politico. Il partito dunque in questa fase rimane passivo. Questo è un vantaggio per il partito, poiché dimostra apertura alla società civile, ma anche nocivo, perché il compito proprio della politica è la progettualità sociale, economica e ovviamente politica. L’arte di governare non impone un modello a tutti gli ambiti sociali, alle professioni, ai lavori, alle più svariate attività, bensì consente l’efflorescenza di stili di vita liberi e diversi all’interno di un sistema e di un progetto regolato: le alternative sono il totalitarismo o il caos, la legge del più forte.

Dunque il partito restando passivo può incorporare l’elemento nuovo, eventualmente anche estraneo per alcuni aspetti, lasciandogli intatte le sue caratteristiche, già gradite al suo gruppo sociale di provenienza.

Tale passività della politica rispetto alla società civile, in questa fase della riproduzione della classe dirigente (chiamata generalmente casta, con dispregio, ma finché i privilegi ingiusti resteranno sarà difficile liberarsi di questo antipatico termine) è però anche pericolosa. L’elemento nuovo è accolto in modo acritico, opaco, la selezione del nuovo ceto politico avviene in modo inaccessibile alla conoscenza dei cittadini. Chi sa chi è entrato in politica e si sta preparando alle prossime elezioni? I partiti e le liste civiche in via di formazione non vogliono assolutamente scoprire le carte. Perché, se non per proteggere meccanismi di questo tipo?

I cittadini in questo gioco di riproduzione non entrano, non vedono nulla, non sanno nulla: sono sovrani che restano all’oscuro di quel che sta avvenendo.

Entrato nel gruppo dirigente ed eletto in consiglio comunale, l’elemento nuovo continua a rappresentare il suo originario gruppo sociale, che rimane la sua ragion d’essere, esponendosi quindi a un conflitto d’interessi, che però resta ignoto al grande pubblico.

Il partito figura ringiovanito e invece è invecchiato, ha perso autonomia, si è lasciato sottomettere da un potere forte verso il quale resterà debitore. La politica così si svuota di senso e si mette nella condizione di non poter affermare nulla di proprio, di non diffondere un proprio messaggio realmente innovativo, ma solo di subire i progetti altrui, perché è in condizione di dipendenza.

Se la Chiesa cattolica ha saputo creare luoghi di aggregazione e consenso, prelevare personalità rappresentative dal mondo cattolico sarà assai agevole: la politica perderà però libertà. Il partito non è condizione dunque di criticare, non può essere se stesso, non esprime una sua originalità. Anzi, per sopravvivere il partito si è mimetizzato nell’ambiente sociale e sussiste all’ombra dei poteri esistenti, che a propria volta lo strumentalizzano per accedere ai benefici che può dare la pubblica amministrazione.

In una seconda fase il partito cercherà di trasformare l’elemento nuovo in un elemento proprio, facendogli frequentare nuovi ambienti. Se il giovane si adatterà, riceverà una nuova forma di rappresentatività dagli ambienti vicini al partito, fino a potersi permettere una relativa libertà rispetto al suo gruppo di riferimento originario. E già prima il giovane, impegnandosi nell’integrazione con i colleghi di partito, si troverà a firmare interrogazioni e interpellanze di vario genere, che inizino a farlo sembrare autonomo dal suo bacino di consenso.

In questo percorso la società civile non ha affatto dovuto modificare le proprie dinamiche interne. La rappresentatività viene donata ormai dai gruppi sociali, non dalla politica. Di qui il rischio di una subalternità ai portatori d’interesse.

Negli ultimi vent’anni la politica, cioè nel suo periodo di maggior crisi dal dopoguerra, ha dovuto tentare di sopravvivere o poco più. Il berlusconismo e la pervasività dei massmedia hanno messo in grave difficoltà le procedure di selezione della classe dirigente.

Il Partito democratico ha tentato di salvarsi da questa catastrofe. Faticosamente, fra mille complicazioni, ci è riuscito, non senza però concessioni pesanti alla temperie sfavorevole.

Il caso del mimetismo Alessandro Corradi (cliccare qui) rientra in questa storia di lotta per la sopravvivenza e di indebolimento dell’identità del partito. E’ un caso di riproduzione legale e lecita: si tratta di un caso giuridicamente sano. Di qui la sua rischiosità per il partito. E’ lecito, è facile. Non costa nulla. Ma il partito, in questo modo, facendo compromessi, mimetizzandosi, contaminandosi, che cos’è? C’è una reale differenza dalla cosiddetta agenda Monti? C’è un programma politico di miglioramento della società, dell’economia e della politica? O c’è solo il fiscal compact e il bisogno di far sì che non si riuniscano masse di indignados, e che gli individui restino più o meno atomi come oggi?

Ci sono altri casi, ma il centrodestra non soffre ad esempio dello spostamento del gruppo dell’assessore Ceraso dal centrosinistra al centrodestra, né si sta ponendo seriamente problemi di identità politica. Se il centrodestra avesse avuto un progetto, Maria Teresa Ceraso avrebbe rappresentato un caso ancora più evidente.

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