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Il mercante di Venezia: Binasco e un Bardo troppo comico

Creato il 07 gennaio 2015 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

Nei testi del Bardo c’è sempre stata sotto sotto (ma nemmeno troppo!) un certa vena comica. Valerio Binasco spreme le vene de Il mercante di Venezia per far spurgare fuori tutto il comico, o forse sarebbe meglio dire il tragi-comico, in esso contenuto.

Il-mercante-di-VeneziaIl risultato è uno spettacolo sbilanciato, dove la magia e il fascino accumulati nel primo atto si perdono nel secondo in balia di un fiume di eccessi caricaturali che finiscono per stuccare.

Il mercante di Venezia è una delle opere di Shakespeare più note e più amate di sempre, in virtù di uno dei personaggi più odiosi e viscidi del teatro di tutti i tempi: l’usuraio ebreo Shylock. Un personaggio senza scrupoli ma di alti interessi, che il mondo e il mercato cercano di isolare pur non potendone fare a meno. Quella libbra di carne che richiede, per gioco, quasi per burla, ad Antonio, è l’impossibile che si fa possibile e poi quasi realtà, senza dubbio spia di una genialità drammaturgica imperitura al passare del Tempo. Il mercante di Venezia è un’opera pregna di un razzismo profondo, che scritta oggi farebbe indignare. Ma è Shakespeare, un testo di mezzo millennio fa, di quelli che urlavano ieri e urlano ancora oggi.

A dare carne (è proprio il caso di dirlo!) e ossa al mercante di Venezia è un intenso Silvio Orlando. Il suo Shylock è un uomo solo, quasi alienato, quasi triste, che fissa il vuoto, forse immaginandolo grondante d’oro. Valerio Binasco lo dota di un accento dell’Est Europa, tra il russo e il rumeno, tra Joe Bastianich e un magnate all’ombra del Cremlino. Silvio Orlando si muove in una scenografia minimale, tra due pareti scartavetrate male, una d’oro (il denaro) e una blu (il mare, ossia la rovina di Antonio). Tra una poltrona, un paio di tappeti persiani, tre scrigni dal vago gusto arabeggiante e un esile tavolino con delle sedie, come di un bar affacciato sul golfo (che la colonna musicale localizza più a Sorrento che a Venezia). Intorno a lui, nei panni semi-contemporanei (giacca e cravatta) degli altri personaggi che affollano la commedia/tragedia del 1596, la Popular Shakespeare Kompany, tutti davvero molto bravi.

La prima parte di questo Mercante di Venezia convince, getta nel mistero lo spettatore come se non conoscesse l’esito finale dell’opera. C’è profumo di sale e di soldi, di sventura e di tragedia, con echi musicali che evocano una curiosa e sibillina atmosfera che richiama Il Padrino. Poi irrompe violento il secondo atto, che fa naufragare il primo, facendo colare a picco tutto lo spettacolo proprio come le navi del disgraziato e distinto Antonio. Affonda in mano alle due figure femminili, Porzia e Nerissa, sfacciatamente macchiette in una girandola di personaggi drammaticamente e comicamente umani. Oche sculettanti e toni sopra le righe che schiacciano Shylock e tutta la compagnia.

Insomma, col suo Mercante di Venezia Binasco c’ha visto giusto nel portare alla luce il flusso comico, che, anche nel tragico, Shakespeare era capace di instillare e distillare. Ma da una goccia riempie un vaso, il quale finisce troppo presto per traboccare…

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