di Violetta Orban
Le tecnologie applicabili ai velivoli senza pilota (Unmanned Aerial Vehicles – UAV), comunemente denominati droni, hanno subìto una progressiva evoluzione sin dai tempi dei primi prototipi di dispositivi privi di equipaggio risalenti alla Seconda Guerra Mondiale, conducendo ad un loro crescente impiego per finalità di tipo civile e militare. L’impatto delle tecnologie innovative connesse all’uso degli UAV ha esteso il loro utilizzo militare con funzioni strategiche e tattiche, rispondendo all’esigenza di trasferire i propri asset strategico-militari lontano dal teatro bellico, in un ambiente sicuro e privo di rischi, seguendo una logica di risk-free warfare.
Gli Stati Uniti mantengono un ruolo di supremazia in questo settore e costituiscono i principali ricorrenti ai velivoli senza pilota per attività di intelligence e counter-terrorism al di fuori dei propri confini, giustificandone l’utilizzo sulla base del diritto all’autodifesa sancito dal diritto bellico e dell’Authorization for the Use of Military Force Against Terrorists (AUMF) approvata dal Congresso USA il 14 settembre 2001. Introdotti dall’amministrazione repubblicana di George W. Bush, gli attacchi con gli UAV si sono intensificati sotto la presidenza di Barack Obama in considerazione sia dei costi elevati degli interventi militari dell’ultimo quindicennio in termini politici, economici e strategici, sia dell’alta efficacia garantita dalle azioni dei droni, divenendo parte di una strategia di anti-terrorismo che combina attività di intelligence, forze speciali e operazioni condotte da remoto. I cosiddetti danni collaterali connessi al coinvolgimento di vittime innocenti e l’impersonalità di questa tipologia di azioni hanno tuttavia alimentato il dibattito a livello internazionale sulla liceità etica, politica e giuridica di tali strumenti.
I droni armati
L’amministrazione Obama ha recentemente autorizzato l’esportazione di droni armati ad alcuni Paesi alleati, compiendo un passo significativo per la politica domestica per gli armamenti e agevolando le industrie nazionali della difesa nell’acquisizione di crescenti porzioni del mercato globale dei velivoli senza pilota. Tra i Paesi potenzialmente coinvolti dal nuovo corso della politica statunitense in questo settore figura l’Italia, indicata tra gli alleati da anni maggiormente interessati a disporre di tale tipo di armamenti. Pur essendo tra gli utilizzatori del drone Reaper insieme al Regno Unito, Italia e Francia non hanno usufruito dell’accesso ai droni armati. Nell’ambito della discussione con l’alleato statunitense sulla gestione e condivisione dei costi del training e dell’uso degli aeromobili a pilotaggio remoto (APR), il governo italiano ha manifestato l’intenzione di aprire un centro per l’addestramento al pilotaggio dei droni presso l’aeroporto militare di Amendola (Foggia).
Finora la vendita di droni armati da parte degli Stati Uniti era stata concessa al solo Regno Unito, mentre velivoli non armati, impiegati principalmente a scopo di intelligence, erano stati forniti ad un numero più ampio di Stati, inclusi alleati NATO quali Francia e Italia. Altri Paesi, come Cina e Israele, dispongono già di propri droni armati. La base aeronautica statunitense di Creech, nel deserto del Nevada, costituisce il cuore operativo delle azioni realizzate con gli APR in Afghanistan e Pakistan, coadiuvata da altre nove basi in territorio americano in grado di controllare singole missioni. La base tedesca di Ramstein, principale hub logistico europeo dell’aeronautica USA, costituisce un’infrastruttura essenziale per il funzionamento e la trasmissione delle informazioni dell’intero sistema dei velivoli a pilotaggio remoto. L’auspicio di un’estensione del supporto operativo in Europa per le operazioni condotte con i droni è esemplificato nelle proposte di spesa presentate nel 2011 al Congresso, in cui la Air Force si esprimeva a favore del rafforzamento di un altro hub europeo nella base siciliana di Sigonella con funzioni di stazione di back up, al fine di impedire la perdita delle connessioni e dei dati e il fallimento delle missioni.
Il ruolo della base italiana di Sigonella
La base aeronavale di Sigonella, situata tra le province di Siracusa e Catania, è stata istituita nel 1959 nel quadro politico-giuridico NATO e costituisce una delle installazioni storiche caratterizzanti la presenza militare statunitense in Italia. La sua collocazione quasi al centro del Mar Mediterraneo le conferisce un importante ruolo strategico. Per quanto riguarda i velivoli a pilotaggio remoto, attualmente vi sono stanziati APR Global Hawk a carattere permanente e altri APR sulla base di autorizzazioni temporanee. L’RQ-4B Global Hawk è un velivolo a pilotaggio remoto da osservazione e sorveglianza, operante ad altissima quota e con lunga autonomia, la cui presenza presso la base è stimata in tre unità. È progettato con il solo scopo di eseguire missioni di osservazione e non può essere armato. La notevole autonomia di volo e la fattibilità di impiego a grande distanza dalla propria base operativa associano all’utilizzo del Global Hawk il vantaggio di poter disporre di elevata capacità di osservazione e raccolta di informazioni in aree geopolitiche di scarsa sicurezza.
Con lo scopo di ottimizzare le risorse e massimizzare le capacità operative delle Forze NATO, integrando al meglio gli asset disponibili tra i diversi alleati e organizzando sinergicamente le strategie future, l’Alleanza Atlantica sta implementando un programma di smart defence, di cui fa parte il sistema di sorveglianza del territorio Alliance Ground Surveillance (AGS). Nell’ambito di quest’ultimo progetto si è optato, tra l’altro, per la dotazione di una forza comune NATO di 5 APR Global Hawk Block 40 da schierare a Sigonella, rendendo la base siciliana lo snodo principale dell’Alleanza per la sorveglianza terrestre con specifiche infrastrutture per la manutenzione e supporto degli APR, l’analisi e diffusione dei dati raccolti e l’addestramento del personale operativo. Unità aggiuntive di velivoli Global Hawk, stimate in numero di 5, saranno destinate a Sigonella in vista della piena operatività del sistema AGS prevista per il 2017. L’instabilità e le precarie condizioni di sicurezza delle regioni del Nord Africa e del Sahel conseguenti alle Primavere Arabe e ai successivi rivolgimenti geopolitici, oltre all’importante ruolo strategico della base siciliana, hanno condotto all’autorizzazione temporanea da parte delle autorità italiane dello schieramento di altri asset statunitensi presso Sigonella. Gli accordi, che impongono vincoli e limiti precisi a questo tipo di missioni, includono 6 APR MQ-1 Predator, velivolo da ricognizione che ha la possibilità di essere armato in alcune versioni, velivoli P-3 Orion AIP da pattugliamento marittimo e velivoli cargo C-130 Hercules con relativo personale di supporto logistico. I vincoli sono legati alla concessione dell’utilizzo dei velivoli armati solo in operazioni di evacuazione di personale non combattente o di salvataggio di ostaggi, previa autorizzazione delle autorità italiane e informando i governi delle nazioni interessate dalle attività [1].
Previsioni sui futuri trend del mercato internazionale degli UAV
Secondo numerosi osservatori il mercato globale degli aeromobili a controllo remoto sarà interessato in futuro da importanti cambiamenti. Gli Stati Uniti, precursori nell’utilizzo degli APR e attualmente principali venditori mondiali insieme a Israele, cederanno progressivamente quote di mercato a favore di altri attori. Il volume degli investimenti in ricerca e sviluppo sui droni nei prossimi dieci anni è stimato intorno ai 28,7 miliardi di dollari; 11 miliardi proverranno dagli USA, in calo rispetto al lungo protagonismo americano nei programmi di ricerca destinati agli UAV. [2] Le previsioni in merito ai fondi in R&S stanziati entro il 2020 dall’Europa Occidentale ammontano a 5,2 miliardi di dollari, trainati da Francia, Italia e Regno Unito. Germania, Francia e Italia hanno inoltre manifestato l’intenzione di collaborare allo sviluppo di droni al fine di diventare indipendenti nella produzione di immagini e informazioni per i propri servizi di intelligence in un comparto strategico per la difesa e la sicurezza nazionale. Il Segretario di Stato del Ministero della Difesa tedesco, ha annunciato in un’audizione al Parlamento federale che i tre Paesi hanno in progetto lo sviluppo di un drone di medie dimensioni, in grado di trasportare armi, da realizzare auspicabilmente per il 2025. A questo scopo nel maggio 2015 i rispettivi Ministri della Difesa hanno siglato un’intesa per lo sviluppo congiunto di un drone europeo, la cui implementazione sarà probabilmente affidata alle compagnie Airbus, Dassault e Alenia Aermacchi.
In Asia il budget dedicato alla ricerca sugli UAV raggiungerà i 7,7 miliardi di dollari nel 2020 con un particolare attivismo della Cina. Pechino sta incrementando i propri investimenti in questo campo con l’obiettivo di fornire prodotti tecnicamente competitivi a un costo notevolmente inferiore rispetto ai maggiori competitors internazionali. Il costo del drone Wing Loong, ad esempio, è di circa un milione di dollari, in contrasto con i trenta milioni dell’MQ-9 Reaper di fabbricazione statunitense. Nonostante la qualità e la tecnologia dei suoi APR risultino ancora in ritardo in confronto a quelle americane e israeliane, acquirenti esteri si stanno gradualmente rivolgendo alla Cina, come testimoniato dalle commesse con Nigeria, Pakistan ed Egitto. Tali fattori hanno reso credibile l’ipotesi che l’Aviation Industry Corp of China (AVIC), il più grande produttore nazionale di droni, possa diventare il maggiore venditore mondiale di APR militari entro il 2023. A differenza degli USA, che hanno condotto una politica molto restrittiva per l’esportazione dei propri droni armati legata a equilibri regionali e rispetto dei diritti umani, la Cina non ha finora reso nota la propria linea in materia, adottando un atteggiamento dalle sicure ripercussioni geopolitiche.
A livello globale si stima che entro il 2022 le principali potenze militari mondiali espanderanno notevolmente le loro flotte di aeromobili a pilotaggio remoto, che potrebbero raggiungere il 50% del totale dei velivoli entro il 2030.
* Violetta Orban è OPI Adjunct Fellow
[1] F. Tosato, Impiego di velivoli “Global Hawk” presso la base militare di Sigonella, Osservatorio di Politica Internazionale, n. 74 – maggio 2013, a cura del Centro Studi Internazionali (Ce.S.I.);
[2] Droni, nei prossimi 10 anni gli USA non domineranno più il mercato, DroneMagazine, 22 maggio 2014.
Photo credits: Fox News
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