La prospettiva "culturalista" per spiegare l'arretratezza socio-economica del Mezzogiorno ha conosciuto alterne fortune negli anni. L'idea di un Mezzogiorno arretrato in quanto "frenato" dal familismo amorale - proposta da Banfield nel 1958 in Le basi morali di una società arretrata - fu prevalentemente criticata in Italia nei due decenni successivi. Dal secondo dopoguerra agli anni Settanta, infatti, quello meridionale era letto soprattutto come problema economico o di politica economica: da un lato il "nuovo meridionalismo", con un'impostazione "tecnica", proponeva l'applicazione di politiche economiche formulate da teorie dello sviluppo generali; dall'altro le letture dipendentiste attribuivano il sottosviluppo del Mezzogiorno alle relazioni di dipendenza politica ed economica che si erano instaurate tra Nord e Sud. Solo negli anni Novanta gli studiosi italiani prenderanno più seriamente in considerazione il peso degli ostacoli socio-culturali allo sviluppo del Sud: il lavoro di Putnam, sulle differenze regionali di senso civico in Italia, troverà nel nostro Paese un'accoglienza diversa da quella ricevuta da Banfield trentacinque anni prima, in un contesto sempre più convinto che il problema del Mezzogiorno sia di cultura civica prima che economico.
Il libro L'arretratezza del Mezzogiorno. Le idee, l'economia, la storia curato da Cosimo Perrotta e Claudia Sunna (Bruno Mondadori, 2012) pare riconducibile, in ultima analisi, a questo filone di studi. In quattordici saggi frutto di una approfondita ricerca di gruppo, questo volume ripercorre la storia del Mezzogiorno e delle analisi delle sue condizioni sociali ed economiche dal Medioevo ad oggi, mostrando come tre "cause originarie" abbiano condizionato costantemente le possibilità di sviluppo di quest'area. Queste tre cause, delineate nella prefazione del libro (già riportata parzialmente su questo blog), sono: la prevalenza della rendita sugli altri tipi di reddito; la dipendenza da economie più forti; un rapporto perverso tra società civile e istituzioni pubbliche, viste prima come soggetti oppressori, poi come strumenti da usare per fini privati, mai come enti preposti all'interesse pubblico.
Se l'origine di queste tre cause è databile al XII secolo quando, unificata l'Italia del Sud, diversi fattori politici ed economici ne bloccarono lo sviluppo, la persistenza delle tre cause dell'arretratezza fino ai giorni nostri è spiegata, tra l'altro, con caratteristiche culturali quali lo scarso senso civico e il familismo amorale, nella convinzione che i fenomeni economici in senso stretto non spieghino le condizioni di arretratezza di un'area. Le stesse tre cause sono economiche e sociali allo stesso tempo e hanno delle ricadute sia nella sfera economica e sia in quella sociale. Anche quelle caratteristiche culturali risalgono al Medioevo, e nemmeno le politiche meridionaliste del secondo dopoguerra le hanno intaccate: le trasformazioni indotte dalle riforme degli anni Cinquanta "rompono l'identità civile meridionale, inadeguata allo sviluppo", ma "la tradizionale carenza di valori necessari per lo sviluppo sopravvive nella nuova identità, rendendola ancora inadatta allo sviluppo" (p. 183, cap. 10 di Anna Spada).
Il problema fondamentale del Mezzogiorno oggi è dunque l'arretratezza dello sviluppo civile, come scrive Salvatore Rizzello citando Sylos Labini (p. 244), che continua ad impedirne lo sviluppo economico: "i limiti strutturali dell'arretratezza civile del Mezzogiorno impediscono qualunque forma di sano sviluppo endogeno e distorcono ogni forma di investimento pubblico" (p. 247). Centrale nella spiegazione del persistente ritardo del Sud è cioè "la debolezza del tessuto sociale; un fenomeno in larga misura addebitabile alla prevalenza di modelli relazionali di tipo familistico che ostacolano il formarsi e il consolidarsi di relazioni più complesse e articolate che costituiscono il sostrato sociale delle interazioni economiche [...]" (p. 260). Di conseguenza, le soluzioni proposte fanno riferimento alla "ricapitalizzazione sociale del territorio" (p. 272), cioè alla formazione di capitale sociale, e alla "responsabilizzazione della classe politica e dirigente" (p. 273).
Questa interpretazione espone il libro al rischio - proprio degli approcci culturalisti - di cristallizzazione in una "cultura meridionale" di comportamenti altresì leggibili semplicemente come adattamento diffuso ad una politica fondata sulla gestione clientelare del consenso.
D'altro canto, il merito principale di L'arretratezza del Mezzogiorno è quello di offrire un'analisi ricca e multicausale, non limitata a variabili economiche: il libro propone, forse per la prima volta, una rilettura degli ultimi mille anni della storia del Mezzogiorno riccamente documentata tenendo conto dei condizionamenti di ordine culturale; e mostra chiaramente l'infondatezza delle tesi che pretendono di risolvere la condizione meridionale in un processo di spoliazione consumatosi con l'unificazione italiana.
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