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Il ministro della paura.

Creato il 16 luglio 2012 da Gianna

 Io sono il Ministro della Paura e come ben sapete senza la paura non si vive.Senza la paura della fame e della sete, non si vive.Senza la paura della famiglia e della scuola, non si vive.Senza la paura di Dio e della Sua barba bianca, non si vive.Una società senza paura è come una casa senza fondamenta. Per questo io ci sarò sempre, nel mio ufficio bianco, con la mia scrivania bianca, di fronte al mio poster bianco.Ci sarò sempre con i miei attrezzi da lavoro, con la mia pulsantiera. Pulsante giallo, pulsante arancione, pulsante rosso. Rispettivamente poca paura, molta paura, paurissima.E seguendo correttamente questo stato d’animo io aiuto il mondo a mantenere ordine.Vedete, senza di me le guerre scoppierebbero inutilmente, le epidemie non avrebbero senso, le bombe esploderebbero senza alcun vantaggio sociale.Io trasformo la paura in ordine e l’ordine è il cardine di ogni società rispettabile.   ------------------------------------------------------------------------ Passano i governi, ma la politica della paura permane, così come i suoi registi; varia soltanto la psicosi del momento: sicurezza, terrorismo, immigrazione… e più appare incerta e indeterminata e maggiore è il suo potere di suggestione.Ora, temporaneamente accantonate le fobie securitarie e razziste, prevale la paura imbevuta di crisi generale, depressione economica e incertezza per il futuro.Infatti, dopo tanti investimenti di risorse, promesse e speranze nel domani, risulta insopportabile non sapere e non vedere oltre un presente di sopravvivenza: “vivere contro un muro è la vita dei cani”.In breve tempo, la percentuale di chi non ha si è allargata investendo anche settori sociali che fino a l’altro ieri si ritenevano fuori e sopra la realtà miserabile dei salariati e dei senza reddito; così anche molti di coloro che fidavano nelle possibilità di affermarsi ed emergere, per merito o per posizione economica acquisita, scoprono loro malgrado un’imprevista discesa verso la proletarizzazione.In molte passate situazioni l’umanità si era trovata davanti ad un avvenire materialmente blindato e senza spiragli, ma era riuscita comunque a affrontarlo gridando la propria rivolta e prendendo in mano l’iniziativa per strappare libertà e migliori condizioni di vita. Adesso, al contrario, dopo decenni di abulia di massa, ci si rende conto che tra le elite al potere non c’è nessuno disposto ad ascoltare, compatire, concedere, contrattare e neppure tollerare, perché quando i  margini di profitto si assottigliano, diminuiscono anche i livelli della cosiddetta convivenza civile.Si diffonde così la paura perché crolla la fiducia nella persuasione o nella concertazione: è l’avvertire il vuoto nel sostenere le proprie ragioni, nell’avanzare i propri diritti, nel rivendicare i propri bisogni; la non-risposta è sempre uguale: stiamo dentro un crisi complessa e misteriosa e chi avanza pretese contribuisce ad aggravarla non solo per sé ma anche contro gli altri.Questa paura ha in se pure potenzialità corrosive ed esplosive e chi detiene il potere è ben conscio a quali rischi si va incontro quando viene meno il “contratto sociale”. Sa benissimo che chi oggi cerca una via d’uscita nell’autodistruzione, domani potrebbe scegliere di mettere in gioco la propria vita per distruggere il sistema che lo sfrutta e l’opprime: chi teme per il domani e non ha più niente da perdere è infatti una mina innescata.Così, il ceto politico e i suoi affiliati cercano di scongiurarne la detonazione, declinando tale paura in spavento per l’ignoto rappresentato da una società senza più governo né padroni.Ecco perché, oltre ai poliziotti antisommossa, vengono mobilitati sociologi ed esperti della comunicazione per dare un “senso” e un indirizzo alla paura dilagante, anche per arginarne i primi effetti collaterali quali la contrazione dei consumi e la crescita esponenziale dell’astensionismo.Significativi in merito due recenti interventi sulla stampa: quello di Giuseppe Roma, direttore del Censis, e quello del costituzionalista Andrea Manzella. Il primo ha sottolineato come “se si percepisce una crisi, tendenzialmente si compra meno, generando in tal modo altra crisi” e quindi l’urgenza di “creare speranza di cambiamento (…) se si vuole che la gente abbia fiducia nel futuro”; mentre il secondo ha avvertito che “la crisi istituzionale da evitare è quella prevista per le prossime elezioni politiche. E’ la crisi dello sciopero elettorale”.Ecco perché, si preferisce persino dare spazio e visibilità alla tanto deprecata “antipolitica” per offrire delle valvole di sfogo nelle urne: piuttosto che un rifiuto generalizzato della politica delegata si fa buon viso pure al partito a cinque stelle o alle liste pseudo-alternative a livello locale.Infatti se è vero che ancora “la maggior parte della gente vive da sonnambula, divisa tra il timore e il desiderio di svegliarsi, intrappolata tra lo stato nevrotico e il trauma di un ritorno al vissuto”, è altrettanto evidente che su tale limite l’equilibrio è ogni giorno più precario. CFG (Ringraziando Antonio Albanese, Albert Camus e Raoul Vaneigem)

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