Magazine Diario personale

il mio braccialetto portafortuna

Da Scorretoblog
Ricordo che ero bambino ed avevo al polso un braccialetto portafortuna, di quelli che compri in spiaggia fatti di stoffa tutta colorata e che quando si rompono devi esprimere un desiderio ma che però, se lo rovini apposta, se lo sfilacci un poco per poter esprimere prima il desiderio, be' allora non vale.Ero finito a Lisbona e di lì a São Miguel: un'isoletta con quattro anime e quattro anime disperse per giunta.Ero piccolo e l'oceano non l'avevo mai visto.Dall'aereo diciamo che l'avevo percepito, mi sembrava un sacco cupo ma non si vedeva neanche troppo bene perché c'era l'anticiclone delle Azzorre ed una strana foschia.Ricordo che appena arrivato all'Hotel sono fuggito verso la scogliera a picco e mi sono spinto sino al bordo con gli occhi chiusi, magari un po' sbirciando per non cadere, in modo da non veder il signor Oceano anzi tempo.Poi be', poi l'ho visto, l'Oceano.E non un Oceano a caso, ma quello Atlantico. Mi è sembrato soprattutto…mi è sembrato soprattutto Grande. Ma veramente grande. Proprio grande. Però, subito dopo esser grande, l'Oceano mi è sembrato Nero. Ma veramente nero, nero pece, nero come un buco, non quel nero smorzato un po' così, proprio Nero. Mi ha fatto molta tristezza, e mi è piaciuto tantissimo.In un attimo ho realizzato che, del resto, non era nero a caso, era nero perché era arrabbiato: io una cosa così Potente non l'ho vista mai. Sul bordo della scogliera ero a circa venti-venticinque metri sopra il mare, eppure le gocce delle onde infrante arrivavano fin là. Magari un poco le aiutava il vento, ma le onde le potevo vedere arrivare da veramente distante, maestose ed enormi, avanzare verso di me che un po' si mozzava il fiato per poi, in un boato tremendo, colpire gli scogli con incredibile violenza. E gli schizzi, giuro, arrivavano fin su.Ricordo di esser andato in tilt per un po', di non averci più capito nulla incredibilmente affascinato dall'Oceano Atlantico. Me ne sono innamorato oltre ogni modo.Per tutto il tempo, io, a São Miguel, sapendo di essere sperduto in un'isola minuscola in mezzo all'Atlantico, ero felice. Ho passato ore, sugli scogli, a farmi prendere a schiaffi da onde alte “mah, una quindicina di metri”. Avete presente cosa sono quindici metri d'onda che ti vengono addosso? È un qualcosa da fare paura, qualcosa di scioccante che uno se ci pensa non sembra poi granché, non te ne rendi conto finché non ci stai davanti. È a dir poco impressionante.Ricordo che non volevo tornare a casa, non senza un pezzo di oceano almeno e così, così, ad un certo punto, ho iniziato a camminare lungo la costa a strapiombo fino a trovare un posto un po' più basso, sono sceso più che ho potuto tra le rocce e mi sono sporto allungando il braccio e tendendo la mano verso l'oceano: volevo prenderlo. Sono rimasto così, teso per un paio di minuti forse, teso per il tempo sufficiente affinché gli zampilli delle onde infrante potessero bagnare ben bene il mio polso, quello con il braccialetto porta fortuna. In modo che la stoffa s'impregnasse d'acqua dell'Oceano e quindi potessi portarlo via con me, almeno un pochino. Mi bastava un pochino solo.Tante volte, poi, oramai distante, di nascosto, ho annusato quel braccialetto, ed in silenzio ho pensato all'Oceano.
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