“Alcuni approvano il mio modo di manifestare e sono orgogliosi di me. Altri disapprovano la modalità della mia protesta, ma la rispettano e rispettano la mia libertà. Altri ancora sono del tutto contrari. Tra i giovani, c’è chi mi considera un simbolo di libertà, chi una puttana.”
Amina Sboui, nota anche come Amina Tyler è un’attivista tunisina, femminista e blogger di soli 19 anni. Era il 1 Marzo 2013 quando, studentessa di liceo, decise di diffondere su Facebook una sua fotografia a seno nudo accompagnata dallo slogan, quasi fosse un tatuaggio, “il mio corpo mi appartiene”. La foto di Amina, il suo gesto coraggioso e la sua voglia di non voler sottostare alle rigide regole del suo paese fanno il giro del mondo. Amina diventa così la portavoce di una generazione che reclama la libertà in un paese ormai in mano agli integralisti islamici.
La vita di Amina, dal momento in cui ha postato la sua foto su facebook, non è stata alquanto facile. Inizialmente fu segregata in casa dai suoi genitori , scandalizzati e timorosi che un atto eclatante come quello fatto da Amina potesse avere delle ripercussioni sull’intera famiglia. Fu costretta a prendere farmaci antidepressivi e a sottoporsi a sedute di esorcismo al fine di recuperare la fede.
Amina durante il processoSuccessivamente, dopo essersi recata nella città santa di Kairouan il 18 maggio 2013, giorno dell’annuale raduno pro Islam, viene arrestata per aver scritto Femen sulla parete del cimitero di fianco alla grande moschea. Un gesto fatto di impulso al quale neanche lei riuscirà a dare una spiegazione. Amina viene così accusata di profanazione di cimitero, detenzione di lacrimogeno , attentato al pudore, formazione di un gruppo finalizzato all’aggressione. Solo le prime due accuse risultano essere vere.
Amina subito dopo la scarcerazioneNonostante la mobilitazione internazionale, trascorre in carcere 75 giorni, durante i quali si batte per denunciare i soprusi del sistema carcerario, le condizioni, le continue percosse e angherie che tutte le detenute sono costrette a subire. Amina radicalizzerà ancora di più il suo pensiero sulle questioni riguardanti la libertà e i diritti delle donne. Una volta fuori dal carcere, la sua “notorietà” la porterà a lasciare la Tunisia, poiché la sua “turbolenza” non è ben accettata e non le viene concesso di ritornare a studiare. Si rifugia così a Parigi, dove attualmente vive.
La storia di questa giovanissima ragazza, che a soli 19 anni rappresenta un simbolo per un’intera generazione è stata raccontata dalla stessa in un libro uscito a Gennaio 2015: Il mio corpo mi appartiene.
Il mio corpo mi appartiene- Copertina Libro“Questo libro è la mia testimonianza. Una testimonianza rivolta alla mia generazione. Perché i giovani capiscano che non tocca solo ai vecchi lottare per cambiare le cose, per affermare che non si è mai troppo giovani per impegnarsi in prima persona.”
Il libro racconta come Amina entrò in contatto con le Femen e il perché del suo abbandono; i motivi che l’hanno portata a compiere un gesto eclatante in un paese che poco tollera l’emancipazione femminile; le violenze subite da piccola; il rapporto conflittuale con la madre; la sua trasgressione adolescenziale, gli amori e le amicizie; le speranze, la paura e la voglia di essere parte attiva del cambiamento; il femminismo e l’agnosticismo; la rivoluzione dei Gelsomini e la disillusione seguita alla restaurazione islamica del partito Ennahda.
Leggendo la sua storia ci si dimentica subito dell’età giovane di Amina, ci si ricorda dei suoi vent’anni solo quando ci si rende conto dell’impulsività che l’ha mossa. La forza, il coraggio, la convinzione con cui porta avanti le sue idee sono scritte nero su bianco sulle pagine del suo libro. Libro che, a primo impatto, può risultare essere scarno, poco dettagliato e superficiale; in realtà, senza inutili fronzoli, racconta le vicende e i sentimenti che hanno animato le azioni di una donna giovane desiderosa di apportare un cambiamento alla società, andando contro tutti anche a costo della propria vita. Un libro che sa essere forte nella sua semplicità, che riesce a lanciare un messaggio al mondo con onestà e sincerità. Un libro assolutamente da leggere!
“Mi piacerebbe vivere in un mondo in cui non esiste la «nostalgia di casa» perché il mondo intero è la nostra casa. E a questo proposito: ebbene, sì, la Tunisia non mi manca. Mi capita invece di stare male perché delle persone vengono arrestate e io sono del tutto impotente. Sogno un mondo senza razzismo, senza omofobia, senza xenofobia, un mondo d’amore, senza frontiere… un mondo di pace, di musica. Un mondo che abbia per slogan: «Libertà, dignità, giustizia sociale», il mio slogan preferito durante la Rivoluzione tunisina. Innanzitutto perché in Tunisia bisogna ancora gridarlo forte e chiaro, visto che i cittadini non godono né di libertà né di dignità e la giustizia sociale non esiste. Ma anche e soprattutto perché questo slogan è universale e tutti noi possiamo sentirlo come nostro.”
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