E’ Brianna la prima a rinvenire… sua sorella è a pochi passi da lei svenuta… il locale sembra intatto… Chuck continua a lavorare…
“Leah… Leah… Leah!” ci vuole tutta la forza che Brianna ha in corpo per farla svegliare.
“Successo… cosa… qui” non riesce ad articolare una frase fino a quando Brianna l’abbraccia e la tranquilizza. Qualsiasi cosa sia successa loro stanno bene… Quell’uomo continua a scrivere… Il mondo è li fuori… ma poi, quando si affacciano alla finestra vedono una Seattle in bianco e nero. Come se un effetto di instagram avesse resettato i colori della città.
“Ian!” esclama Brianna e cerca il cellulare nella sua borsa a portafoglio.
“Ian chi?” l’incalza Leah.
Dopo aver cercato ovunque si ricorda di aver lasciato il cellulare sulla scrivania.
“Dammi il cellulare!” ordina a Leah.
Leah fruga nella sua borsa griffata e tira fuori l’ultimo modello, “Si è scaricato, mi dispiace! Ma chi è Ian?”
Rimane solo Chuck e Brianna vorrebbe gridargli “dammi un qualsiasi cazzo di cellulare!”, ma lui, se avesse voluto glielo avrebbe già dato, inutile andare a supplicare.
Escono dal locale tenendosi per mano e vengono inghiottite dal quella cappa decolorante… in pochi istanti la sciarpa rossa di Brianna diventa grigio scuro, mentre il suo berretto di lana marrone diventa bianco sporco.
Per la strada non c’è nessuno, solo auto grigie e nere che schizzano veloci – ben oltre il limite di velocità – quasi fossero guidate da computer impazziti che si divertono a lanciarle, come in un videogioco.
Arrivano all’Anderson Park. L’atmosfera è allucinata ed è forte l’odore di caffè tostato… tutti passeggiano su prati grigi, i bambini giocano su giostre bianche e nere, le panchine hanno un aspetto gotico. Le uniche che non hanno mutato colore sono le enormi scacchiere! Arrivano alla fontana… Sgorga caffè già zuccherato!