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Il mondo di Arthur Newman (2012, tit. or. Arthur Newman) di Dante Ariola (su sceneggiatura di Becky Johnston) richiama un po' trame ben note ed è, in tutto e per tutto, una favola. I suoi protagonisti hanno una possibilità che molti sogniamo, i soldi per sopravviversi, la possibilità di essere "nuovi" ("new man", nuovo uomo, appunto) e devono "solo" guardarsi l'uno dall'altra, ma anche imparare a conoscersi. Proprio qui, però, viene il difficile: perché nessuno dei due è come si presenta, ciascuno impasta la sua esistenza con quella di altre persone, inventa, nega, ritratta. Costruiscono insieme la loro identità e un rapporto che sembra anch'esso in prestito da altre vite. Il loro legame è faticoso e ancillare, sebbene invasato da una fortissima intesa sessuale, tutto ciò che rimane loro è il patrimonio di desiderio e di emozioni. Spiano le coppie, entrano nelle loro case, ne imitano gesti e l'intimità che sembra regnare tra di loro. E rinunciano alla propria.
Impareranno presto, d'altra parte, cosa vuol dire sottrarsi alle loro responsabilità, alla loro vita, lasciare sulla propria pelle le tracce di un'altra esistenza e doverla negare di continuo, smettere di vedersi in un modo e provare, come abiti, altre modalità, costringendo quasi lo spettatore a chiedersi: e tu, che tipo sei? Cosa dovrebbero fare per essere te? Quant'è facile essere quello che noi per anni abbiamo tanto ricercato? Trovarobe di esistenze, in un supermarket alla luce del sole o annidato nelle diverse case, nei diversi set, Arthur e Mike, a loro spese, impareranno anche qualcosa di più importante e delicato: cosa significhi sottrarre la propria storia, la propria biografia alle vite altrui. Come dire che la nostra identità ci riguarda, e ci impregna fino in fondo, ma investe anche altre persone, e direi: soprattutto altre persone nel suo stesso costituirsi e prendere sostanza.
Questo road movie ha tantissima carne al fuoco, forse troppa: Il mondo di Arthur Newman è un film impegnativo, se vogliamo anche lento, fondato sulle tappe del rapporto che si crea tra i due protagonisti. E, se non fosse che Emily Blunt è davvero magnifica, bellissima e sempre donna, mai un'espressione falsa, sempre tutto vero e toccante, insostituibile nel ruolo; se non fosse che Colin Firth è molto bravo e che i comprimari - in particolare la sua compagna Mina di Anna Heche e il figlio Grant di Sterling Beaumon - non fanno rimpiangere altri nomi, anzi; se non fosse che c'è la professionalità, insomma, direi che il film non funziona. Ci sono momenti ripetitivi e prevedibilissimi, alcuni caratteri non sono ben definiti: oltre alla lentezza e al senso di incompiuto - forse dovuto a un montaggio "impressionista" poco efficace - direi che Il mondo di Arthur Newman se non annoia, comunque non sorprende. Non c'è varietà e non c'è dinamica in una fotografia comunque bella, in sostanza non c'è il genio che una trama così complessa richiederebbe. Però c'è l'idea, e l'idea è attuale e merita comunque una seria discussione.
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