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Il monitor degli inganni

Da Maestrarosalba
Il monitor degli inganni L'esperimento è francese,  presto potrebbe diventare una realtà percorribile per molte altri classi, si pensi ad esempio, per non andare lontani, al piano digitale che la Regione Sardegna sta attuando in questi mesi, al termine del quale ogni bambino potrà lavorare direttamente su un tablet di ultima generazione.  Però da qui a dire che gli alunni impareranno a scrivere in Italiano con i centoquaranta caratteri di Twitter, ecco, ce ne corre parecchio. Intanto sgombriamo subito il campo da un equivoco: la colpa dell'errore non nasce dal quaderno e non si supera attraverso un tablet, solo perchè su uno s'imprime l'inchiostro e sull'altro si usa il tasto per cancellare. La paura dell'errore nel bambino, nasce dalla reazione dell'adulto, insegnante o genitore che sia. Nasce dalla incapacità di saperlo accettare come dato utile nel complesso reticolo di fatti e stati emotivi che si sviluppano durante la conoscenza.  Un tablet di per sé non ha nessuna capacità di minimizzare l'errore o di evitarlo in assoluto. E non basta neppure un correttore ortografico a risolvere il problema. Non si capisce perchè l'aspirazione ad ottenere una prestazione priva di errore all'origine, situazione assolutamente al di fuori di ogni esperienza di vita. Come se la colpa fosse intrinseca nell'errore e non nel modo di affrontarlo. Si sbaglia nel trovare una negozio, si sbaglia nell'acquistare un abito, perchè non possiamo più sbagliare a scrivere? Il tablet è uno strumento che porta i suoi vantaggi,  è pratico, abbatte i costi della carta, migliora la gestione del tempo, permette di lavorare molto di più sulle immagini, e ciò per i bambini è importantissimo. Ma comunque le produzioni degli alunni vanno corrette, il metodo, le regole e i suggerimenti vanno insegnati prima e sperimentati poi, per poter diventare in un tempo lunghissimo competenza.  Twitter in particolare, ma vale per tutti i social, non può essere veicolo dell'insegnamento di una lingua, si possono scambiare emozioni, saluti, commenti, notizie lampo e link, un mare di link utili. Ma per imparare a scrivere occorre imprimere pagine sul quaderno o al computer poco importa: occore usare la narrazione, il dialogo, la riflessione, la descrizione, tutta roba che in centoquaranta caratteri non ci può stare. Per imparare a scrivere occorre prima ancora comprendere un testo e centoquaranta caratteri non sono un testo. Centoquaranta caratteri sono un messaggio di testo. Twitter può sostituire parzialmente il caro vecchio scambio epistolare, o via mail come usa oggi, tra le classi, sempre che gli alunni abbiano poco da raccontarsi. Lo si può fare per qualche minuto al giorno, poi però occorre costruire dell'altro per imparare a scrivere.  La scuola non è il luogo di tecnologici amori effimeri, ieri la lim, oggi il tablet e twitter. La scuola è la relazione duratura, per la vita, con lo scrivere che tutt'al più può affiancarsi la tecnologia come strumento, per passare dall'uno all'altro, dal tradizionale al più innovativo, ma che non può affidare a nessuno di essi in via esclusiva la capacità di catturare l'attenzione dell'alunno, restituendogli il sapere. Ancora uno strumento di quel tipo ha da essere inventato. «Se non hanno uno schermo davanti a loro, non seguono la lezione», non mi pare un traguardo, ma un limite e un inganno.
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