Martedì a Roma ci sono stati scontri molto duri tra manifestanti (studenti, terremotati, immondiziati ecc.) e polizia, in concomitanza col voto sulla sfiducia al Governo Berlusconi, respinta sia al Senato che alla Camera. Alla fine i feriti sono stati un centinaio, 6 mezzi incendiati e diverse vetrine e bancomat (nel '68 non c'erano che ci vuoi fare?), 23 arresti (oggi 22 rilasciati). A commento di quanto accaduto, Roberto Saviano ha scritto una lettera agli studenti, apparsa su Repubblica col titolo Lettera ai ragazzi del movimento. Una lettera nella quale non ho potuto non leggere l'intento di ricalcare lo scritto pasoliniano di quarant'anni fa, lasciando da parte la questione sulla distinzione in classi sociali, ormai molto più complessa e totalmente fuori moda. Vale a dire il giornale della sinistra pulita che si fregia dell'opinione dell'intellettuale, ma così non funziona. Innanzitutto Repubblica si sta appiattendo sempre più su posizioni ecumeniche di antiberlusconismo patinato, che dà più la sensazione di volersi consolare che mantenere vigili le menti dei lettori (a che pro, ad esempio, andare ogni giorno in stampa dando la parte degli "sfiducianti" in vantaggio, quando tutti gli altri facevano il contrario?). Inoltre Saviano non ha proprio lo spessore dell'intellettuale e qui non vorrei apparire blasfemo, ma gli manca la dialettica, il carisma, lo spessore, è un ottimo cronista che a volte sa raggiungere le corde dell'empatia ma le sue orazioni a Vieni via con me ci avevano già mostrato un'altra corda, quella della monodimensionalità (leggi noia). Come si può dire che coloro i quali "calzano il passamontagna, si sentono tanto il Subcomandante Marcos"? Siamo ancora a questo? Siamo ancora a dire che "la testa serve per pensare e per portarla alta, non coperta da un casco". Si accusano di usare vecchi slogan quelli che spaccano vetrine e bancomat, senza accorgersi di essere giurassici quando ci si impone di non riflettere sulla disperazione di una generazione. O almeno quando non ci si concede nemmeno il beneficio del dubbio, giungendo invece alla conclusione che i violenti lo sono per posa. Una lettera scritta davvero male, dal punto di vista sintattico, semantico ma in primo luogo umano perché si rifiuta il tentativo di comprendere (che non significa giustificare) il comportamento anche di chi sbaglia, appiattendosi sulla modalità basic del "tu, merda", politicamente si intende.
Martedì a Roma ci sono stati scontri molto duri tra manifestanti (studenti, terremotati, immondiziati ecc.) e polizia, in concomitanza col voto sulla sfiducia al Governo Berlusconi, respinta sia al Senato che alla Camera. Alla fine i feriti sono stati un centinaio, 6 mezzi incendiati e diverse vetrine e bancomat (nel '68 non c'erano che ci vuoi fare?), 23 arresti (oggi 22 rilasciati). A commento di quanto accaduto, Roberto Saviano ha scritto una lettera agli studenti, apparsa su Repubblica col titolo Lettera ai ragazzi del movimento. Una lettera nella quale non ho potuto non leggere l'intento di ricalcare lo scritto pasoliniano di quarant'anni fa, lasciando da parte la questione sulla distinzione in classi sociali, ormai molto più complessa e totalmente fuori moda. Vale a dire il giornale della sinistra pulita che si fregia dell'opinione dell'intellettuale, ma così non funziona. Innanzitutto Repubblica si sta appiattendo sempre più su posizioni ecumeniche di antiberlusconismo patinato, che dà più la sensazione di volersi consolare che mantenere vigili le menti dei lettori (a che pro, ad esempio, andare ogni giorno in stampa dando la parte degli "sfiducianti" in vantaggio, quando tutti gli altri facevano il contrario?). Inoltre Saviano non ha proprio lo spessore dell'intellettuale e qui non vorrei apparire blasfemo, ma gli manca la dialettica, il carisma, lo spessore, è un ottimo cronista che a volte sa raggiungere le corde dell'empatia ma le sue orazioni a Vieni via con me ci avevano già mostrato un'altra corda, quella della monodimensionalità (leggi noia). Come si può dire che coloro i quali "calzano il passamontagna, si sentono tanto il Subcomandante Marcos"? Siamo ancora a questo? Siamo ancora a dire che "la testa serve per pensare e per portarla alta, non coperta da un casco". Si accusano di usare vecchi slogan quelli che spaccano vetrine e bancomat, senza accorgersi di essere giurassici quando ci si impone di non riflettere sulla disperazione di una generazione. O almeno quando non ci si concede nemmeno il beneficio del dubbio, giungendo invece alla conclusione che i violenti lo sono per posa. Una lettera scritta davvero male, dal punto di vista sintattico, semantico ma in primo luogo umano perché si rifiuta il tentativo di comprendere (che non significa giustificare) il comportamento anche di chi sbaglia, appiattendosi sulla modalità basic del "tu, merda", politicamente si intende.
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