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Il muro messicano

Creato il 17 maggio 2011 da Dragor

PICT1230    Il mio giardino è molto grande, c’è una parte che sembra una giungla e un’altra che sembra un deserto. Mi hanno detto che prima della guerra c’erano magnifici alberi, poi i saccheggiatori li hanno tagliati per farne legna da ardere. In questa parte del giardino, il muro di cinta è sudicio e screpolato. Sembra uno di quei muri che nei film sulla rivoluzione messicana servono per fucilare i condannati. Se conoscete l’Ovest americano, saprete che gli anglosassoni usano legno o mattoni rossi mentre i messicani usano l’adobe, un miscuglio di fango e sterco di vacca coperto di calce. Così, quando vedete un muro sudicio e screpolato, non c’è dubbio: è messicano. Tutta la mia esperienza di Messico si riduce a Tijuana, appena oltre la frontiera californiana. Ci sono andato a piedi dalla frontiera americana per godermi il passaggio dal paese più ricco del mondo a uno dei più poveri. Dopo la no man’s land ho trovato tutto il repertorio: strade polverose, cani randagi, bambini cenciosi, tizi che dormono appoggiati ai muri, cantinas con chicas dalle lunghe trecce nere che ti servono la cerveza e i loro favori. Ero a 2 passi dagli Stati Uniti ma sembrava un altro pianeta. Quando guardo il mio muro messicano, mi sembra di sentire gli ordini del baffuto ufficiale dei federales: “¡Apunten!” E i militari del plotone di esecuzione puntano il fucile. “¡Fuego!” Parte la scarica e il povero campesino si affloscia come un sacco vuoto.

   Qualche volta mi metto contro il muro e m’immagino al posto del campesino. A che cos’avrà  pensato durante i suoi ultimi istanti di vita? Ma certo, a quello che può pensare un tizio che sta per tirare le cuoia.  A tutto che ha fatto, a tutto quello che avrebbe voluto fare. A sua moglie, ai suoi figli. Al giorno che avrebbe voluto dirle “te quiero” ma non ha trovato il tempo. Alla Revoluciòn, agli hijos de puta che stanno per fucilarlo. Un tizio mi chiede se voglio la benda sugli occhi e per tutta risposta gli sputo in faccia. Il prete mi chiede se voglio i sacramenti e sputo in faccia anche a lui. L’ufficiale si avvicina per dirmi che non sta bene sputare in faccia alla gente e si prende lo sputo più grosso. Poi dà l’ordine: “¡Apunten!” I federales puntano il fucile. “¡Fuego!”  Tutti i militari sparano meno uno che si asciuga l’occhio sinistro centrato da uno sputo. Mi affloscio sforacchiato come un colabrodo, ma trovo la forza di gridare  “¡Que viva Mexico!” Ecco la fine di

Dragor


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