Il fisico Carlo Rubbia è il penultimo italiano ad aver vinto il Premio Nobel (1984), scienziato dotato di grande prestigio a livello internazionale, già direttore del CERN, dell’ENEA di Frascati, socio onorario dell’Accademia Nazionale dei Lincei, della National Academy of Sciences americana, della Royal Society, della Pontificia Accademia delle Scienze e di tante altre accademie.
Rubbia, assieme a Bombieri, è anche uno degli scienziati più disprezzati da Piergiorgio Odifreddi. Il motivo è semplice: «Carlo Rubbia mi pare che sia cattolico, Enrico Bombieri, medaglia Fields, è cattolico e va a messa», scrive a pag. 122 di “Perché Dio non esiste” (Aliberti 2010). Il Nobel italiano è in realtà uno dei grandi esempi di come un’altissima conoscenza scientifica possa contribuire ad una riflessione esistenziale molto profonda. Ha detto in passato, ad esempio: «Parlare di origine del mondo porta inevitabilmente a pensare alla creazione e, guardando la natura, si scopre che esiste un ordine troppo preciso che non può essere il risultato di un “caso”, di scontri tra “forze” come noi fisici continuiamo a sostenere. Ma credo che sia più evidente in noi che in altri l’esistenza di un ordine prestabilito nelle cose. Noi arriviamo a Dio percorrendo la strada della ragione, altri seguono la strada dell’irrazionale» (citato in C. Fiore, “Scienza e fede”, elledici, Leumann (TO) 1986, p. 23).
Poco prima di Natale ha partecipato ad un convegno organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze, guidata da un altro Premio Nobel, il biologo Werner Arber. Rubbia ha proposto una bellissima relazione intitolata dal quotidiano Liberal così: “La vita sulla Terra ha un solo Padre“. Citiamo alcuni passaggi: «Con alta precisione, oggi vediamo che il cosmo è straordinariamente unico, caratterizzato dal valore ½° =1. La natura dell’universo non è dunque casuale, essa è il risultato di un evento unico e straordinario, possibile solamente per questo valore [...]. Grazie a potentissimi anelli di collisione tra fasci di altissima energia, è possibile ripetere le fasi iniziali dell’evoluzione della materia cosmica, con la creazione nel laboratorio di tutta una serie di straordinari fenomeni che ci permettono di esplorare le condizioni dell’Universo fino a qualche miliardesimo di secondo dopo il big-bang. Anche a questi incredibili istanti, la creazione iniziale era già un fatto compiuto. L’uomo di scienza non può non sentirsi umile, commosso ed affascinato di fronte a questo immenso atto creativo, così perfetto e così immenso e generato nella sua integralità a tempi così brevi dall’inizio dello spazio e del tempo. Vanno ricordate le fasi successive di questa immensa trasformazione a partire dalla creazione fino al giorno d’oggi. L’universo si è evoluto in maniera unitaria e coerente, come se fosse un unico tutto. Ricordiamo a questo proposito le parole della Genesi, dove si dice: “Dio pose le costellazioni nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona”».
Rubbia passa poi a tratteggiare «un altro successivo immenso evento», ovvero «la creazione della vita [...] Una delle più importanti conquiste della scienza moderna è quella che le leggi della fisica e conseguentemente il comportamento della materia sono invarianti nello spazio e nel tempo. Esse sono dimostrabilmente le stesse a miliardi di anni luce da noi e miliardi di anni fa. Ciò è facilmente comprensibile se si pensa che oggi sappiamo che le leggi fondamentali della fisica sono state per così dire inscritte nelle proprietà “geometriche” dello spazio, ancorché vuoto e quindi prescindono dalla materia fisica in esso eventualmente contenuta. La materia che costituisce l’Universo quindi esprime per così dire il suo “libero arbitrio”, all’interno di strette regole definite apriori, che preesistono alla sua creazione e successiva evoluzione». Il Premio Nobel intende anche sfatare «un’impressione, e cioè il fatto che essendo senza dubbio la Terra solamente un pianeta su tanti possibili in cui condizioni idonee per la vita si sono realizzate, la probabilità di un tale evento sia necessariamente elevata: in realtà questo ragionamento non è valido. Anche se questo fosse un fenomeno unico nell’universo, per definizione esso è avvenuto sulla nostra terra». Tuttavia «è perfettamente concepibile che si costruisca pian piano, come del resto comprovato per gli elementi più semplici, da qualche parte nelle immensità dell’Universo anche la struttura chimica della prima cellula vivente. Va ricordato che nelle sue forme più elementari, tuttavia capaci di riprodursi, la vita abbisogna di un numero relativamente limitato, da alcune decine ad alcune centinaia di migliaia di atomi. Va inoltre ricordato che grazie alla presenza della forte affinità chimica, questo non è puramente una roulette, in quanto elementi più complessi (proteine) sono costruibili a partire da componenti, da “mattoni” più semplici, già pre-costituiti».
Il celebre fisico parla anche dell’evoluzione della vita, «fortemente influenzata dalle condizioni specifiche al nostro pianeta. Ad esempio le transizioni tra grandi periodi geologici, caratterizzati da forme profondamente diverse di vita, come ad esempio il Giurassico, il Cambiano ecc. sembrano essere state determinate da eventi catastrofici e dalle immense estinzioni delle specie prodotte. La fine dei dinosauri e il passaggio ai mammiferi fu un passo evolutivo importante, per cui fu determinante il cambiamento climatico, probabilmente conseguente all’impatto di una meteorite sulla penisola dello Yucatan e del conseguente temporaneo periodo di oscurità e di freddo durato alcuni anni con conseguente estinzione delle specie meno preparate a subire questo straordinario shock climatico, che apparentemente eliminò tutte le specie di dimensioni più grandi di alcuni centimetri e specialmente quelle al momento più evolute e quindi più fragili. È quindi evidente che su di un altro ipotetico pianeta, pur assumendo una simile “partenza” probabilistica, è completamente improbabile che la forma di vita risultante sia, per così dire, la copia-carbone di quella su terra. Tutto ciò depone a favore a due fatti importanti: che l’evoluzione della vita segue una linea precisa a partire molto probabilmente da un unico e singolo fatto iniziale, il primo DNA da cui è conseguita tutta l’evoluzione, motivata da tutta una serie di eventi esterni fa sì che essa abbia una grandissima specificità che rende probabilmente unica la vita su terra, come noi la intendiamo. Oggi sappiamo che l’uomo rappresenta uno degli ultimi anelli della vita. Ciononostante la struttura dettagliata del DNA umano è solo leggermente diversa da quella degli altri esseri viventi. È questa una differenza morfologicamente piccola in sé, ma enormemente diversa per quanto riguarda le sue conseguenze. L’uomo è quindi strutturalmente fondamentalmente diverso dalle altre specie animali conosciute. Ha caratteristiche che lo contraddistinguono profondamente e in maniera unica».
Il fisico conclude il suo intervento augurandosi che la scienza scopra l’esistenza di altra vita nell’immenso universo. «Ma la scoperta di una eventuale vita extra-terrestre, con tutte le somiglianze e diversità rispetto alla nostra», continua, «arricchiranno ancora di più l’unicità dell’uomo in tutti i suoi aspetti e ci aiuteranno a meglio percepire e apprezzare gli immensi patrimoni di umanità e di saggezza che abbiamo ricevuto e di cui dobbiamo fare il più prezioso utilizzo, così ben ricordato in quella meravigliosa immagine dell’uomo con il dito puntato verso il Creatore nel fantastico affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina».