IL PADRE NOBILE – Berlusconi ha sciolto le riserve, svelando finalmente le proprie intenzioni sul suo futuro politico. Ha deciso per se stesso di ritagliarsi il ruolo di padre nobile del PDL, e contemporaneamente ha stabilito che Angelino Alfano sarà il candidato premier alle prossime elezioni. Mentre per la prima risoluzione non potevano esserci dubbi e nessuno può legittimamente contestargli il ruolo, grandi perplessità desta la scelta unilaterale di Alfano come leader che segue la recente investitura a Segretario del partito.
NOTIZIA SOTTOVALUTATA – L’intervista concessa a Repubblica, già di per se un evento, contiene molte notizie succose tra cui il citato ritiro dalle istituzioni (Silvio ha rinunciato anche al Quirinale). Mi chiedo come mai non ci sia stato il meritato eco ad una decisione attesa da tempo. Le risposte possono essere molteplici. Forse i mass media e di conseguenza l’opinione pubblica sono più concentrati sui temi giudiziari come il coinvolgimento del braccio destro di Giulio Tremonti, che va ad accavallarsi al varo della manovra economica con annessi e connessi (vedi il giallo creatosi attorno alla norma salva-Fininvest). Oppure l’outing di Berlusconi è solo la ratifica a quello che si intuiva da tempo, data l’età del primo Ministro attuale e la nomina di Alfano a delfino azzurro. Niente di nuovo sotto il Sole insomma. Oppure effettivamente Berlusconi non tira più neppure sui giornali. O meglio non tira il Berlusconi politico, considerato bollito da tempo. Molto più interessante il Berlusconi indagato ed in perenne conflitto di interessi.
LE PRIMARIE – Eppure le scelte di Silvio pesano come un macigno. Soprattutto l’accantonamento delle primarie per l’elezione del leader della coalizione chieste a gran voce da elettorato, partito e giornalisti di riferimento. Come può averla presa un Formigoni ? Certamente male. Ci sono molti colonnelli del PDL che attendevano questo momento in rispettoso silenzio, impegnandosi a fondo a non sfidare il grande capo in singolar tenzone elettorale. Sia perché le chance di vittoria sarebbero state pressoché nulle, sia perché non si può riunire il conclave prima che il Papa sia morto. Ma una volta che Berlusconi, volontariamente, si fosse fatto da parte, in tanti hanno detto e pensato che le primarie sarebbero state il modo migliore e più equo per pesarsi. Formigoni è stato solo colui che ha parlato più chiaro di tutti, forte di un ventennio di dominio elettorale locale, senza essere mai irrispettoso. Ma lo stesso Alfano esordì nel nuovo ruolo col motto “Primarie per tutti”.
LO SCATTO IN AVANTI – Alfano ha cominciato il proprio segretariato con volontà e dedizione, come un giovane rampante che vuol mostrare le proprie capacità al mondo politico. Nonostante l’epic fail del proprio Lodo, e qualche leggina in libertà dettata dal capo, il Guardasigilli ha ottenuto la legittimazione ed i complimenti da tutto l’agone politico a parte quel Bersani riottoso anche per ragioni interne al suo partito (dove i 40enni rottamatori premono). Si è presentato come paladino delle primarie, e nel suo discorso d’insediamento al Consiglio Nazionale ha spesso usato la parola “insieme” guardando negli occhi Silvio. Per ribadire sia che il fondatore ancora molto deve fare nel ruolo di padre nobile, sia che il partito chiede a gran voce democraticità. Il rischio sarebbe un’esplosione del PDL all’indomani della sconfitta elettorale. Berlusconi ha fatto tutto il contrario, modificando la Manovra Finanziaria a proprio uso e consumo e continuando a prendere decisioni strategiche senza l’avallo né della base né dei dirigenti del partito. A questo punto che dovrebbe fare Alfano? Secondo me dovrebbe ribaltare il tavolo, seppur con classe, pur di ribadire che il proprio ruolo non è di segretario personale di Berlusconi. Dovrebbe ringraziare Silvio, sentitamente e con tutto l’affetto e il miele possibile, e rifiutare l’investitura feudale restando fedele al suo “Primarie per tutti”. Questo non perché ritenga questo metodo il migliore per scegliere il candidato premier, ma perché urge che Angelino si scrolli dalla spalla l’ingombrante mano del padrino. Rimettendosi alle urne, o meglio ai gazebo, Alfano acquisirebbe quell’autorevolezza agli occhi dei propri elettori che finora lo guardano con perplessità. Diventerebbe paladino di un movimento, e secondo me vincerebbe a mani basse la consultazione. Il risultato sarebbe identico ma con ben altra legittimazione sia agli occhi della base che degli altri colonnelli, battuti a suon di voti e non per chissà quale primogenitura.
UNA SFIDA IN SALITA – Così non facendo, Alfano rimarrà un signor nessuno. Smentito dal capo una settimana dopo l’insediamento, con un partito recalcitrante che non gli riconosce la leadership, e senza la possibilità di influire sull’opinione pubblica dato che al Governo non c’è più. Ed è indubbio che di fronte agli ipotetici e probabili fallimenti dell’esecutivo nel prossimo biennio, nulla potrebbe fare per convincere l’elettore a votarlo. Una situazione molto difficile, costretto a rimontare l’onda anomala che sta travolgendo il centrodestra e senza l’appoggio incondizionato del partito. Anche il miglior Berlusconi, in un contesto simile, avrebbe incontrato infinite difficoltà.
Rudy Basilico Turturro (redattore)