Il fiume Huangpu a Shanghai
La Cina continua a sembrare, stando ai media, la grande tigre dello sviluppo (economico) e ultimamente, visto il grande impegno per le rinnovabili, i mastodontici progetti di rifornimento idrico e per la lotta al cambiamento climatico, sembra essere diventata la nuova frontiera dello sviluppo sostenibile. C’è molto fermento a livello sociale, tecnologico e soprattutto politico, tanto che il XII Piano Quinquennale per lo Sviluppo Economico e Sociale, il mega programma che da Pechino ha il gravoso compito di irradiare le scelte del Partito Comunista in un paese che si avvicina agli 1,4 miliardi di abitanti, è quello della grande svolta, promosso come un “Landmark” per la “riconciliazione dell’ambiente e dell’economia”.
Usando le misurazioni della World Bank, tenendo la valuta stabile all’anno 2000, il GDP della Cina è cresciuto da 182.941.942.815,33 dollari americani nel 1980 a 2456684033218 nel 2008. Il tutto come sappiamo, contenuto da una crescita della popolazione esponenziale solo in parte bloccata dalla cosiddetta “politica del figlio unico”. Questo non ha impedito per esempio nello scorso decennio di passare da un PIL procapite di 1105,96 dollari a 2032,62 dal 2002 al 2008 (variazione sopra l’83%), un livello ancora basso che ci ricorda quanto abbia scarsa importanza parlare della Cina in termini assoluti.
La Repubblica Popolare quindi, stando a questi dati, sembrerebbe sempre più direzionata verso uno sviluppo economico armonico e un benessere generalizzato? Qualche dubbio, potrebbe venirci. Per esempio misurando le ineguaglianze di reddito sempre più divaricanti: l’Indice di Gini, che misura le ineguaglianze di reddito in un paese con un range da 0 (totale eguaglianza) a 1 (tutto il reddito in mano a una sola popolazione), ci dice che da un valore dello 0,33 nel 1980 siamo arrivati allo 0,47 nel 2008 (+29%). Con certo qualche problema in termini di coerenza con gli ideali politici che tuttora saldamente dominano il paese.
Benessere quindi per molti, ma non per tutti, soprattutto in una sempre più marcata contrapposizione fra le ricche metropoli della costa e la situazione meno entusiastica degli altri 700 milioni di cinesi delle campagne.
L’acqua sembra essere a nostro avviso uno dei problemi più ingenti ed emblematici: la Cina conta approssimativamente il 19,5% della popolazione mondiale, ma possiede sul suo territorio solo il 7% delle risorse di acqua utilizzabili, con una disponibilità procapite di soli 2123 metri cubi (contro una media mondiale di più di 9400).
Per uno Shanghainese sarebbe piuttosto azzardato bere acqua del rubinetto: l’esaurimento della falda, ormai prossimo allo stadio finale, porta a uno sfruttamento quasi totale per l’approvvigionamento domestico di acqua trattata del fiume Huangpu, uno dei più inquinati del mondo. Ma 700 milioni di persone, metà dei cinesi, in gran parte delle campagne, continua a bere acqua contaminata e il Ministero della Salute cinese non nasconde che nel 2003 480.000 persone sono morte per cancro intestinale, allo stomaco, alla vescica o al fegato, e le stime imputano all’acqua inquinata da 50.000 a 200.000 di queste morti.
Continuando a parlare delle stime, la World Bank dice che dal 2007 al 2033, le disponibilità di acqua procapite nel paese se il trend non si inverte scenderanno ulteriormente (quasi un altro 15%), nonostante i grandi sforzi. Il problema dell’acqua purtroppo è complicato infine da quello delle forniture alimentari, un altro importante problema del paese che deve sfamare un numero di bocche su cui numeri peraltro non si è ancora del tutto certi. Dal 2002 al 2007 la produzione alimentare è cresciuta del 14%, e attualmente è il settore che assorbe più risorse idriche di tutti.
Effettivamente, gli sforzi del governo cinese stanno dando i loro frutti: l’acqua rinnovata tecnologicamente cresce sempre di più, un grande progetto di deviazione di risorse idriche dal ricco (in termini di quantità di acqua) sud al più povero nord è in corso, l’impegno delle imprese e delle multinazionali (non trascurabile il ruolo dei fornitori di acqua in bottiglia) in questo campo si fa sempre più marcato, ma la situazione non è buona. Una delle più conflittuali conseguenze è per esempio la tensione per lo sfruttamento del fiume Mekong con Cambogia, Vietnam e Laos. L’ambiente sembra quindi diventare sempre di più una delle preoccupazioni centrali per la Cina e gli investimenti privati e internazionali di un mercato di tale portata, sono in crescita. Si tratta soprattutto di capire se il paese non ha aspettato troppo ad agire: il decoupling, ovvero la diminuzione del consumo idrico nonostante la continua crescita economica, è già avvenuto ed è un dato positivo; tuttavia le disponibilità d’acqua, che non si rinnova facilmente nel breve termine, continuano a scendere lentamente ma per ora senza sosta.
Il problema dell’acqua rende un po’ meno rosei gli straordinari dati di crescita del paese. Ma politici, investitori, specialisti e cittadini a livello locale, anche secondo la nostra esperienza, hanno forte coscienza del problema ed è pur vero che la gestione dell’ambiente in Cina è forse oggi l’attualità più importante.
Autore: Samuele Falcone
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