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Il palpina

Creato il 29 agosto 2015 da Unarosaverde

Eh, gia’. Sono rientrata in ufficio lunedi. Col corpo, almeno. La testa vagolava a tratti.

Venerdi sera sarei stata pronta per altre due settimane a casa mia, corpo e testa insieme.

C’e’ smania di fatturato nell’aria e quando c’e’ smania di fatturato, quando ti ritrovi a sollevare anche i tappeti per vedere se trovi altro che si possa spedire per accontentare questa smania – triste da osservare in chi dovrebbe preoccuparsi di governare con piglio sicuro la baracca e la ciurma e invece, per dire, sta li’ a contare l’argenteria e a verificare che i cucchiaini splendano mentre piove dentro dal tetto – ti viene subito addosso una tal stanchezza per questi ingranaggi mossi dal dio denaro che vorresti ritirarti ad intrecciare canestri con le stoppie davanti alla porta di legno di una baita di montagna – alta montagna – e osservare le mucche al pascolo per il resto dei prossimi dieci anni.

E invece sto li’, come tanti, a contare i giorni che mi separano dalla liberazione. Un abisso, sono diventati, dopo il devasto della borsa cinese ad inzio settimana. Tanto veloci sono stati a sparire, i miei guadagni, il mio gruzzolo che contiene le chiavi del mio piano B, quanto lenti saranno a ricomparire, coi venti infausti che tirano. Ho trascorso la settimana, percio’, a raccattare fatturato in ogni cantone e a rimuginare sull’autunno a venire, mentre verificavo, ogni giorno, passando e ripassando nel tunnel di comunicazione tra una zona e l’altra dell’edificio, che il cadavere dello scarafaggio morto durante le ferie e riverso pancia nera all’aria sulla moquette sporca e consunta,  fosse sempre al proprio posto. Nessuno lo raccoglie, ce ne guardiamo bene sia noi che gli addetti alle pulizie. Pero’ qualcuno lo ha spinto, in un momento imprecisato del giovedi, di un metro piu’ avanti. E’ un segnale, quella blatta,  un chiaro indicatore di come vanno le cose nel luogo in cui lavoro. Ho contravvenuto alla mia regola aurea anche questa volta e non ho verificato lo stato dei bagni prima di firmare il contratto. Non imparero’ mai, nemmeno da me stessa. Dai bagni di un’azienda si capiscono un mucchio di cose.

Non divaghiamo, pero’. Torniamo al motivo del titolo.

Di ritorno dalle ferie bisogna salutarsi come gente che non si vede da eoni, no? Baci e abbracci. A me non piacciono i baci e gli abbracci indiscriminati. Io bacio e abbraccio pochissima gente. Questo affetto smisurato tra estranei che condividono ore e ore in uno stesso luogo per necessita’ non l’ho mai capito. Ce ne sono pochi di gesti d’affetto che ricevo e offro volentieri, con alcune persone che durante questo anno ho avuto modo di conoscere e apprezzare. Negli altri casi mi tocca mettere in atto la strategia del passo della tigre accucciata sotto le vetrate, quella dello strisciare del serpente radente i muri, quella dello scantonare veloce del gatto al suono dei pollai di convenevoli.

Cosi’ come alla dipartita, pure al ritorno pero’ non sono sfuggita al palpina.

Sara’ successo a tutti, immagino, di aver conosciuto qualcuno che non ha la minima cognizione dell’esistenza dello spazio prossimale. Non dico del mio, che idealmente misura intorno ai due metri di diametro – sono larga e poco incline ai contatti corporei non desiderati – ma neppure di quello dei 50 centimetri cui ognuno ha diritto per respirare.

Il palpina questa volta lavora dove lavoro io. Inevitabile incapparci. Non e’ una persona cattiva, ne’ lo fa con intenzioni seduttive, perche’ lo fa proprio con tutti. Piu’ con tutte che con tutti, a dire il vero, pero’  il toccacciare  e’ nella sua natura. E’ uno spettacolo osservarlo.

Lui palpa.

Allunga le mani, tocca, stringe, si avvicina, scivola sui tessuti, si insuinua sotto i colletti, si appoggia con le dita sui fianchi altrui, raggiunge il limite delle labbra. Ha una mira per il millimetro in cui terminano le labbra che potrebbe vincere le olimpiadi di categoria, ci fossero.

Mi dicono che sia una gran brava persona. Non avro’ il piacere di appurare se e’ vero o no perche’ ogni volta che parlo con lui mi ritrovo la sua faccia ad un centimetro dal naso, piegata di lato, le mani sulle spalle che mi fanno un massaggio, o, peggio, mi circondano in un abbraccio.

Per cui io gli giro alla larga. Tanto alla larga. Nessun approfondimento di amicizia.

Nemmeno irrigidirmi come un palo della cuccagna, arretrare, manifestare corporei segnali di disagio funziona: non capisce. E’ incapace di comprendere o, forse, scambia la reazione per imbarazzo col risultato che mi si avvicina ancora di piu’, al millimetro delle labbra.  Tra un po’ me lo ritrovero’ seduto sulle ginocchia che si avvinghiera’ come fossi il suo eucalipto e lui il koala.

Nemmeno la battuta sul fatto che non mi piacciono i contatti corporei ha funzionato. Era la mia ultima arma. Ha riso e palpinato ancora di piu’.

Buona domenica. Vi lascio e proseguo a infilare gli spicchi d’aglio sulla collana. Deve essere pronta per Natale. Funzionava con i vampiri, no?


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