Il Pd stravince, il Pdl straperde, la politica precipita, il Paese va in malora. Non c’è dubbio: la destra quando non può contare sull’ostensione di Berlusconi, se non può usare la sacra sindone del Tycoon, praticamente non esiste, è preda dei suoi mediocri o ambigui o infami personaggi sui quali ricade sempre di meno la polverina magica di Silvio. Non c’è dubbio il Pd è un partito assai più strutturato, ha di solito candidati migliori, e spesso candidati, come succede a Roma, marginali o diagonali rispetto al partito, che è un vantaggio. Non c’è dubbio: la sempre più evidente sovrapposizione fra i programmi e prospettive, ricette e promesse rende più sfumata la battaglia che ormai avviene tra cittadini che vanno alle urne e altri che hanno perso la voglia di partecipare di fronte ai muri di gomma che si frappongono tra le loro volontà e il sistema dei partiti.
Così siamo di fronte all’ennesimo paradosso: mentre oggi escono i dati economici che confermano l’inarrestabile e drammatico declino dell’Italia, sottoposto a diktat, ricette, tesi avvizzite e incapacità di elaborazione politica e di contatto con la realtà che sono poi la bibbia politica dell governo delle larghe intese, i ballottaggi e il voto in Sicilia lanciano un allarme rosso sulla situazione e sugli umori del Paese, ma al tempo stesso rafforzano e congelano l’inciucio. Gli apparati del Pd possono far credere o auto convincersi che la vittoria nel deserto delle urne possa essere spacciata come un’indiretta approvazione del governo assieme a Berlusconi. Mentre la sedicente rimonta del Pdl esce di molto ridimensionata e finirà per allontanare la tentazione di far saltare il banco anche se l’alternativa fosse quella di doversi rimangiare qualche sacra promessa. Tanto una più, una meno.
Di certo ci sono ormai molte città le cui amministrazioni sono elette da una sparuta minoranza di cittadini, condividendo in pieno il destino dell’esecutivo nazionale e della sua maggioranza che rappresenta più o meno un terzo degli aventi diritto al voto. E questo costituisce insieme un pericolo per la democrazia, ma anche un ostacolo per il buongoverno a causa del peso che finiscono per assumere i gruppi di pressione e il voto di scambio. Questa è la china nella quale stiamo precipitando e dalla quale nemmeno una vittoria contro qualche maleodorante personaggio che magari rischiamo di trovarci ministro, può dare vero respiro.