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Il Parlamento europeo di fronte alla crisi dell’Eurozona

Creato il 03 settembre 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

Il Parlamento europeo di fronte alla crisi dell’Eurozona

Nella pietra miliare della scienza politica, Essence of Decision: Explaining the Cuban Missile Crisis di Graham T. Allison, uno dei modelli utilizzati dall'autore per spiegare la crisi cubana è quello del "Governamental Politics" [1]. In sostanza, si ritiene che la scelta di uno Stato derivi dalle negoziazioni politiche che avvengono al proprio interno, anche quando il potere è concentrato nelle mani di pochi, ossia quando il "selettorato" [2], per utilizzare un'espressione di Bueno de Mesquita, è ristretto ad una piccolissima oligarchia e non coincide affatto con l'elettorato. Queste negoziazioni e i diversi poteri esercitabili, quindi, possono avere un peso sulle decisioni che vengono prese.

Questo modello, applicato nel caso di uno Stato, sarebbe di difficile applicazione nel contesto dell'Unione Europea non solo perché i livelli decisionali sono multipli e possono variare dal piano nazionale a quello sovranazionale (e non per forza europeo), ma anche perché molto spesso la complicata architettura istituzionale europea, unita alla difficoltà di discernere chiaramente i limiti della sovranità nazionale in questo contesto, rendono necessario guardare oltre al piano formale della divisione dei poteri e delle competenze, per concentrarsi sul dato squisitamente politico.

Quando poi alla complicata struttura decisionale si aggiunge la necessità di giungere a decisioni "quasi" improvvise, allora i pesi e contrappesi - studiati accuratamente per mantenere formalmente un equilibrio tra le parti in causa - rischiano di saltare. È quanto successo al Parlamento europeo e al ruolo che tale istituzione ha assunto nella crisi finanziaria ed economica che ha colpito l'Unione e l'Eurozona, in particolare dal 2009 in poi, anno dell'approvazione del Trattato di Lisbona. Si tratterà quindi di capire in che modo il Parlamento ha influenzato il decision-making sovranazionale, con una comparazione con la Commissione e il Consiglio. L'unico organo democraticamente eletto in Europa ha avuto un peso significativo nell'influenzare le decisioni prese riguardo ai nuovi trattati, le direttive e i regolamenti approvati in questi ultimi anni?

Il Parlamento europeo dopo Lisbona

Il Trattato di Lisbona, nel 2009, è stato presentato dai detrattori come una "Costituzione europea" in nuce, dopo che il referendum francese e olandese avevano bocciato uno dei progetti più avanzati di creazione di una vera e propria costituzione sovranazionale, pur trattandosi nei fatti di un Trattato istitutivo, ossia di un accordo tra parti. Non è un caso che già all'epoca nei Paesi con una consistente porzione di elettorato euroscettica (Regno Unito in testa) tale ratifica sia passata in sordina [3].

Grazie ad essa, il Parlamento europeo può intervenire per modificare direttive e regolamenti in molti ambiti del policy-making (la mera consultazione, ossia la procedura legislativa speciale, viene effettuata in un limitato numero di casi): con la procedura legislativa ordinaria Consiglio europeo e Parlamento, almeno formalmente, vengono messe sullo stesso piano.

Nelle tre letture previste, difatti, ci deve essere un accordo tra i due rami - e in alcuni casi anche la Commissione può esprimere un parere che va ad incidere sulle maggioranze richieste in Consiglio Europeo - perché un provvedimento possa dirsi adottato. Questo significa che il Parlamento dispone di un potere di veto rilevante, qualora esso si esprima per tre volte in maniera difforme dalla proposta iniziale del Consiglio.

All'alba della crisi economica e finanziaria che aveva colpito il Vecchio Continente il Parlamento europeo si presentava con le carte in regola per poter incidere sugli assetti dell'Unione.

Il Patto di Stabilità e Crescita - le prime riforme

Il Parlamento europeo ha quindi una maggiore influenza decisionale quando agisce nell'alveo delle procedure della secondary law. Con le innovazioni previste dal Trattato di Lisbona, il Parlamento europeo ha avuto voce in capitolo su due pacchetti di riforme - il six-pack prima e il two-pack poi - tesi a rivoluzionare l'architettura economico-finanziaria dell'UE, garantendo una maggiore supervisione e un più stretto automatismo sanzionatorio a livello macroeconomico.

Si tratta di cinque regolamenti e una direttiva nel caso del six-pack e di due regolamenti nel secondo caso: una legislazione che, sebbene sia nata dopo la crisi del 2008, ha le sue origini più indietro nel tempo, in particolare nel Patto di Stabilità e Crescita (1997) e nelle sue "carenze" (o almeno così, sono state interpretate nel percorso di riforma).

Il Patto di Stabilità e Crescita prevedeva un controllo delle politiche di bilancio dei Paesi dell'UE in vista della creazione della moneta unica. Come è noto, due dei parametri previsti erano il mantenimento del rapporto deficit/PIL annuale al di sotto del 3% e un debito pubblico non superiore al 60% del PIL. Parametri che, sin da subito, sono stati di difficile attuazione da parte degli Stati membri che - questo è il punto centrale - detenevano il controllo dell'irrogazione della sanzione (tramite il Consiglio dei Ministri). Non è un caso che proprio per questo motivo il Consiglio sia arrivato a scontrarsi, in un confronto senza precedenti, con la Commissione europea. Quest'ultima chiedeva che Francia e Germania fossero sanzionate per un deficit eccessivo ( Excessive Deficit Procedure), mentre il Consiglio con i voti di Portogallo (anch'esso sotto procedura per deficit eccessivo), Italia, Germania e Francia bloccarono l'applicazione delle raccomandazioni per limitare il disavanzo proposte dalla Commissione: la Corte di Giustizia con la sentenza C-27-04 del 2004 stabilirà che una volta pronunciatosi il Consiglio, la Commissione non può interferire nel giudizio. Una questione questa che mostrerà come all'indomani dell'adozione della moneta unica, l'intergovernamentalismo rimane il principale strumento d'azione all'interno dell'UE.

La crisi economica dopo Lisbona: il ruolo del Parlamento europeo

Con le riforme approntate a Lisbona, il Parlamento europeo ha tentato di mostrare una certa assertività dove i trattati lo hanno consentito, in un contesto dominato comunque dall'intergovernamentalismo [6] e che poco, se non pochissimo, margine di manovra veniva lasciato all'organo elettivo dell'Unione. Il primo esempio in questo caso potrebbe essere l'Euro Plus Pact (2011) - un piano di interventi volto a promuovere competitività e occupazione tenendo presenti i vincoli di bilancio già presenti - in cui il Parlamento pur chiedendo formalmente un coinvolgimento ha lasciato in disparte il Parlamento il quale ha sua volta, sempre nel 2011, ha votato una Risoluzione in cui si chiedeva tra le altre cose: "( 91). Calls for a deeper democratic political Union in which the EU institutions are given a stronger role in both the design and the implementation of common policies; emphasises the importance of strengthening the democratic legitimacy and control of the Union; [...] ( 93). Underlines the need for a stronger European Commission, made more accountable to Parliament and playing a major role as the main voice of the citizens, especially when it comes to providing a forum for public cross-border debates, taking into account the spill-over effect of national decisions in fields such as economic and social governance [...] "[7].

Nelle sempre misurate parole utilizzate in sede parlamentare il monito diretto a Commissione e Consiglio è quello di essere più trasparenti e "responsabili" davanti al Parlamento.

Per ciò che concerne il two-pack, si può asserire che le misure previste tendano a completare il six-pack attraverso procedure di controllo dei bilanci nazionali, precedenti all'approvazione degli stessi da parte dei Parlamenti nazionali, con un più stretto controllo delle procedure per deficit eccessivo (EDP) e, soprattutto, con la creazione della sorveglianza rafforzata per gli Stati membri che versano in una situazione finanziaria precaria (con la discussa scelta di condizionare gli aiuti - si badi, erogati con fondi al di fuori del budget europeo, punto su cui si tornerà in seguito - all'implementazione di politiche richieste dalla Commissione).

All'interno del Parlamento Europeo [10] in questo caso sono stati presentati circa 500 emendamenti al testo della Commissione, i più rilevanti dei quali erano tesi a trasporre nei due regolamenti approvati, i requisiti di accesso ai fondi di stabilizzazione finanziaria, creati ad hoc per salvaguardare la tenuta dell'area Euro in modo che tali requisiti fossero riassorbiti all'interno della legislazione europea.

Da segnalare che il Parlamento europeo è riuscito nell'intento di coinvolgere le parti sociali quando uno Stato finisce sotto la lente della sorveglianza rafforzata e quindi necessita programmi di aggiustamento strutturali, in cambio di aiuti economici. Infine, se la proposta della Commissione incorporava l'inserimento del pareggio di bilancio a livello costituzionale, come previsto peraltro nel Treaty on Stability, Coordination and Governance in the Economic and Monetary Union - TSCG (il cosiddetto Fiscal Compact), nella versione finale del secondo regolamento approvato, tale misura viene espunta. Proprio durante l' iter di negoziazione del Trattato, il Parlamento europeo ha potuto inviare quattro rappresentati alle negoziazioni.

Il nodo irrisolto dei nuovi trattati

Se fino a questo punto si è parlato del ruolo assertivo del Parlamento, diverso è il discorso per i nuovi trattati approvati, alcuni dei quali sono stati addirittura creati al di fuori delle istituzioni europee, finendo per essere organismi internazionali puramente intergovernativi. In questo caso, il ruolo del Parlamento non è stato pressoché marginale, non avendo competenze (o potendo avanzare richieste in merito) previste dai trattati europei.

Un punto su cui sarebbe necessario riflettere è il fatto che tali strumenti, creati ad hoc in mezzo alla tempesta finanziaria europea, sono risultati quelli di maggiore rilevanza, essendo quelli deputati ad erogare fondi agli Stati aderenti che ne fanno richiesta a determinate condizioni. Verrebbe da avanzare un'ipotesi, che verrà solo accennata in questa analisi, sulla resilienza dei processi intergovernativi (a discapito di quelli comunitari) all'interno delle istituzioni europee, quando queste incontrano seri ostacoli per la loro tenuta. Brevemente, l'intergovernamentalismo appare la chiave di accesso alle decisioni politiche più rilevanti per la Comunità europea, con buona pace del Parlamento.

Il primo strumento approvato dai Paesi dell'Unione il 9 maggio 2010 per garantire i debiti sovrani dei Paesi in crisi è stato lo European Financial Stability Facility (EFSF). SI tratta, in breve, di un fondo con una capacità di 440 miliardi di euro e che ha potuto emettere obbligazioni al fine di salvaguardare la tenuta dei debiti sovrani e per ricapitalizzare le banche. All'EFSF hanno avuto accesso Grecia, Portogallo e l'Irlanda, sotto la condizionalità dell'approvazione di riforme strutturali concordate tra lo Stato richiedente aiuto, la Commissione Europea e il Fondo Monetario Internazionale. La Grecia aveva già avuto un prestito in precedenza concordato con gli Stati Membri della zona Euro (con l'eccezione di Slovacchia, Estonia e Grecia per l'appunto) e il Fondo Monetario Internazionale.

Il Parlamento europeo è stato escluso dalle contrattazioni sia per quanto riguarda il prestito ponte appena menzionato sia per la supervisione delle riforme richieste dalla cosiddetta "troika" per ottenere i prestiti all'interno dell'EFSF.

Accanto all'EFSF, l'UE ha creato un altro fondo con una portata di gran lunga inferiore (60 miliardi di euro) chiamato European Financial Stabilisation Mechanism, i cui capitali sono stati sostanzialmente garantiti dal bilancio dell'Unione Europea. Anche in questo caso il Parlamento Europeo non ha avuto voce in capitolo.

A rimpiazzare questi due fondi è stato nel settembre del 2012 lo European Stability Mechanism (ESM); un organismo internazionale, l'ESM, che è stato creato all'inizio al di fuori delle istituzioni europee - quindi, tra le altre cose, senza che il Parlamento potesse in alcun modo avanzare richieste - per l'impossibilità di trovare un accordo tra gli Stati membri. Solo successivamente l'ESM è stato posto sotto il diritto europeo, grazie alla modifica dell'articolo 136 del TFUE. Come per il TSGC, il Parlamento europeo aveva richiesto di partecipare alle negoziazioni, senza ottenere il via libera. Inoltre, nessuna accountability è stata prevista nei confronti del Parlamento e nemmeno è stata presa in considerazione l'obbligatorietà di un report da parte della Commissione nei confronti dell'assemblea parlamentare. Per ciò che concerne la modifica dell'articolo 136 del TFUE, essendosi scelta la procedura semplificata, il Parlamento europeo è stato solo consultato e le modifiche proposte sulla possibilità di co-decidere le misure di assistenza finanziaria non sono state prese in considerazione dal Consiglio Europeo.

Come Babier ha rilevato [11] esiste un problema di accountability e di trasparenza, non tanto e non solo per ciò che concerne i fondi creati ad hoc - e tutti concentrati su una politica di consolidamento del bilancio (leggasi austerità) - quanto più in generale per la governance economica dell'Unione. Da qui la proposta dell'autore di rivedere l'articolo 121 (2) del TFUE che recita: " Il Consiglio, su raccomandazione della Commissione, elabora un progetto di indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell'Unione, e ne riferisce le risultanze al Consiglio europeo ".

Come si può constatare il Parlamento europeo è dunque escluso da tale programmazione e, a meno di difendere legittimamente il cosiddetto deficit democratico dell'Unione Europea [12], per migliorare l' accountability della branca intergovernamentale (il Consiglio) il suo coinvolgimento sarebbe auspicabile.

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[1] I modelli sono in tutto tre: il primo è quello dell'attore razionale, il secondo quello dei processi organizzativi.

[2] Il "selettorato" è diverso dal semplice elettorato che troviamo nelle democrazie: esso si compone di quella cerchia, più o meno ampia, di persone che possono influenzare un governo. In una democrazia matura il selettorato coincide con l'elettorato, nelle oligarchie il cerchio si restringe a pochi decisori.

[3] Sul processo di ratifica inglese, avvenuta sotto la premiership di Gordon Brown, si legga D. Vittori, I rebus del voto in Regno Unito, in "Osservatorio di Politica Internazionale (OPI)", 6 maggio 2015.

[4] D. Vittori, A political crisis in an economic tempest (January 2008 - December 2012), in "Eastern Journal of European Studies", Vol. 4 n. 1, June 2013.

[5] È da sottolineare che il meccanismo decisionale prima del Trattato di Lisbona, non prevedeva il meccanismo di co-decisione in molte aree del policy-making europeo, ragion per cui il Parlamento Europeo era formalmente (e politicamente) in secondo piano rispetto al Consiglio e alla Commissione.

[6] F. Schimmelfennig, (2015),Liberal intergovernmentalism and the euro zone crisis, in "Journal of European Public Policy", Vol. 22, issue 2, January 8, 2015. Scrive Schimmelfennig (p. 3): " The euro area's responses to the crisis, however, can be explained plausibly as a result of intergovernmental bargaining based on partly converging and partly diverging member state interests and designed to strengthen the credibility of member state commitments to the common currency".

[7] European Parliament resolution of 6 July 2011 on the financial, economic and social crisis: recommendations concerning the measures and initiatives to be taken.

[8] P. o'Broin, The Euro Crisis. EU Financial Reform and the European Parliament, in "The Institute of lnternational and European Affairs", Working Paper n. 7, January 2012.

[9] Il Semestre Europeo è una misura, approvata nel 2010, tesa a coordinare e razionalizzare i meccanismi di sorveglianza macroeconomica. Al termine del primo semestre (gennaio-giugno) di ogni anno, la Commissione invia le raccomandazioni che, si suppone, dovrebbero essere successivamente implementate dagli Stati membri.

[10] Sull'approvazione del two-pack, dove non diversamente indicato, mi sono rifatto alla ricostruzione puntuale di De la Parra S., The two pack on economic governance: an initial analysis, in "European Trade Union Institute", Background analysis, 2013.

[11] R. Bieber, Democratic Governance of the Euro: Shortcomings and proposals for reform (rev/16.4. 2012) in The democratic governance of the Euro, RSCAS Policy Paper 2012/08, edited by Miguel Poiares Maduro, Bruno De Witte and Mattias Kumm.

[12] La difesa più "conosciuta", argomentata magistralmente, è di A. Moravcisk, In Defense of the "Democratic Deficit": Reassessing Legitimacy in the European Union , in "Center for European Studies", Working Paper No. 92, 2002.

Photo credits: DAVID ILIFF. License: CC-BY-SA 3.0

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