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Il Passato: Asghar Farhadi e il suo Iran lontano da casa

Creato il 21 novembre 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

21 novembre 2013

Nel 2012 con “Una separazione” vinceva l’Oscar per il miglior film straniero (il primo ad un iraniano), la naturale conclusione di una marcia trionfale iniziata con l’Orso d’Oro a Berlino e proseguita con un tour per i festival di mezzo mondo. Oggi a distanza di poco più di un anno Asghar Farhadi ci riprova, con un’opera “Il passato” (in sala dal 21 novembre), che già a Cannes si annunciava come un capolavoro. Questa volta girato senza la pressione della censura, lontano da casa, in Francia…

Quando presentò “Una separazione” qui in Italia disse che finché le fosse stato possibile, avrebbe continuato a girare in Iran. Cosa l’ha portata invece a girare in Francia, per la prima volta fuori dal suo paese?
Continuo a sostenere ancora oggi che mi sento molto meglio quando lavoro a casa, ma a volte mi vengono in mente delle storie che per la loro stessa natura vanno girate in un altro modo; questa era una storia che richiedeva di essere girata all’estero. Non potevo pensare di ambientarla in una provincia perché la lontananza di tempo e quella geografica facevano parte della relazione tra i due protagonisti e andava indagata; doveva essere un posto necessariamente lontano da casa.

Racconta una Parigi molto distante dall’immagine da cartolina a cui alcuni registi ci hanno abituato.
Per realizzare questo film mi sono trasferito nella capitale francese per due anni, ma già prima di muovermi sapevo che non avrei mai ritratto una Parigi da cartolina. Ho cercato di oltrepassare l’idea di un’immagine turistica ed è per questo, ad esempio, che ho deciso di spostare la casa della protagonista in periferia.

L’assenza di censura ha reso il film differente?
Se la tua personalità, il carattere e il tuo lavoro si sono formati in un paese dove ci sono delle restrizioni o delle condizioni particolari, non è facile cambiare: non basta prendere un aereo e spostarsi in un altro posto per diventare una persona diversa, in fondo rimaniamo sempre noi stessi. Mentre giravo questo film mi sono sentito protetto, ma la mia visione di cinema è rimasta tale e quale. Quando ti ritrovi a girare in Iran, ti chiedi in ogni momento se il film alla fine uscirà o meno, girando a Parigi invece avevo la sicurezza che tutto quello che avrei fatto sarebbe finito sullo schermo.

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Nelle storie che racconta non esiste mai una verità assoluta, non sappiamo mai cosa succederà dopo la fine del film. La conclusione rimane sempre aperta…
L’esperienza mi ha insegnato che se una persona compie un’azione negativa, spesso basta adottare il suo punto di vista, vedere in quali condizioni e con quale pensiero o percezione del reale ha agito, per comprenderlo di più e guardare in maniera meno negativa a ciò che ha fatto. Solo così potremmo avere un’idea completamente ribaltata di una stessa situazione.
A volte le cose sono molto più semplici di quanto non si possa immaginare. Nel finale de “Il passato” ad esempio, Samir sta dall’altra parte del letto ma se fosse rimasto aldiqua avrebbe probabilmente visto la lacrima sul volto di Celine e forse avrebbe reagito in un modo completamente diverso, cambiando radicalmente il percorso della proprio vita.

Ancora una volta una separazione, ancora dei personaggi che non riescono a prendere delle decisioni. Cosa la affascina di questo tema?
Le situazioni di stallo mi piacciono molto per due motivi diversi. Innanzitutto per la loro forte valenza drammaturgica: quando una persona arriva a un bivio ed è costretta a decidere cosa fare, scatena di per sé un dramma. Lo stesso accade nella vita quotidiana: in maniera conscia o inconscia e in ogni minuto facciamo delle scelte, dobbiamo decidere tra una cosa e un’altra.

Che rapporto ha con il passato?
Fino a qualche anno fa ero molto proiettato al futuro e non guardavo al passato, ma ora sono entrato in una fase in cui invece penso spesso al passato, alle radici e mi sembra che sia più ricco.

di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net

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