Nel caso qualcuno avesse ancora qualche dubbio, con una inusuale trasparenza il presidente del consiglio uscente li ha dissipati all’apertura della sua campagna elettorale a fianco dell’ideologo di riferimento. E non ha lasciato dubbi nemmeno ai competitor, tramortiti per conclamata insipienza, che dopo averlo promosso e sostenuto a costo della definitiva eclissi della democrazia e delle sue regole, pensavano di potersene sbarazzare, dimentichi che il suo sponsor più entusiasta aveva predisposto per il “gran raccomandato”, anche sul colle, una postazione irrobustita da qualche scardinamento costituzionale. Perfino Napolitano sembra essere stato sconcertato dall’iter atipico della sua discesa in campo e dal suo volersi proporre come Monti l’intramontabile.
La piena e solitaria rivendicazione di paternità della mossa a sorpresa, il meno sorprendente ricorso alla punizione divina dello spread, la denuncia consueta dell’inaffidabilità del quadro politico italiano, la presenza al vertice Ppe che ha sancito la “coabitazione” a destra, perfino col cavaliere mal sopportato, e l’endorsement a conferma delle chiare collusioni internazionali, tutto è culminato della gita pastorale a Melfi. A Melfi, dove l’impunito ha reclamato il riconoscimento dei suoi meriti: rigore, lacrime, sangue, sofferenze, penitenza, sacrifici, miseria, cancellazione dei diritti, delle garanzie e delle speranze, compresa quella del Pd di essersi conquistato un posto di comando collegiale con il proclamato attestato di fedeltà e di slealtà verso il popolo italiano – meno i tre milioni di elettori delle primarie che, ricordiamolo, avevano sottoscritto un patto per la condanna di Vendola a fare da tappezzeria, per il riconoscimento della bontà della riforma Fornero, per la cieca ubbidienza ai comandi che ingenerarono gli impegni assunti con l’Ue.
Sfrontatamente e ingiuriosamente il professore è andato proprio tra i lavoratori a impartire la sua lezione di iniquità, rivolgendosi loro tramite a dipendenti, cassintegrati, disoccupati, studenti, famiglie che non possono più permettersi una settimana di ferie lontano da casa (dal 39,8% al 46,6%, dal 2010 al 2011), che non hanno potuto riscaldare adeguatamente l’abitazione (dall’11,2% al 17,9%, in riferimento sempre allo stesso periodo), che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 33,3% al 38,5%) o che, se volessero, non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni (dal 6,7% al 12,3%). Si è rivolto sfacciatamente a quelli che sanno bene che certe cifre non appartengono alle esercitazioni statistiche: nel 2011 il 28,4% delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell’ambito della strategia Europa 2020. E rispetto al 2010 l’indicatore cresce di 2,6 punti percentuali a causa dall’aumento della quota di persone a rischio di povertà (dal 18,2% al 19,6%) e di quelle che soffrono di severa deprivazione (dal 6,9% all’11,1%). Il rischio di povertà o esclusione sociale è più elevato rispetto a quello medio europeo (24,2%), soprattutto per la componente della severa deprivazione (11,1% contro una media dell’8,8%) e del rischio di povertà (19,6% contro 16,9%). Sempre secondo l’Istat, il 19,4% delle persone residenti nel Mezzogiorno è gravemente deprivato, valore più che doppio rispetto al Centro (7,5%) e triplo rispetto al Nord (6,4%). Nel Sud l’8,5% delle persone senza alcun sintomo di deprivazione nel 2010 diventa gravemente deprivato nel 2011, contro appena l’1,7% nel Nord e il 3% nel Centro.
Oscenamente, il premier ha ciononostante confermato che il suo fermo intendimento è continuare su questa strada, che il canto delle sirene del riavvio delle produzioni della Fabbrica di automobili deve accompagnarsi il controcanto dei sacrifici, della perdita di sicurezze, della precarietà, della rinuncia ai diritti.
Ha parlato di necessarie privazioni come al solito. Ma non di fame, si sa. Perché come dice Brecht “Per chi sta in alto discorrere di mangiare è cosa bassa. Si capisce: hanno già mangiato.”
Ha già mangiato e vuole continuare il banchetto con amici, famigli e affini, protetti, sponsor, e questa è un prospettiva davvero disperante. Ma ancora più disperante è l’applauso che gli operai hanno riservato ai due killer. Anestesia da senso di perdita della realtà? Sindrome di Stoccolma? Tocca ritirar fuori Brecht, che forse è arrivato il momento di sciogliere il popolo?
Io credo che li abbiamo lasciati troppo soli a farsi le loro battaglie, io credo che ci stiamo lasciando tutti troppo soli, ognuno con la sua scarna e amara sopravvivenza. io credo che i lavoratori si siano sentiti abbandonati e piegati dal peso dell’eterno ricatto quando l’unico diritto lasciato loro è il mantenimento a ogni prezzo e a ogni costo del salario e della fatica. Io credo che la Fiat è diventata la fabbrica pilota dell’indegnità, dell’inciviltà e della disumanità e è stata lasciata fare, blandita, assecondata soprattutto da coloro che dovevano invece rappresentare, difendere e testimoniare delle ragioni degli sfruttati.
Abbiamo sbagliato, a lasciar credere alla favola raccontata durante l’offensiva aziendalista, qulle di fabbriche ingovernabili, di operai riottosi e accidiosi che stanno a casa per guardarsi la partita, che hanno vissuto al di sopra delle possibilità, che hanno voluto troppo. Abbiamo sbagliato a lasciar soli gli operai nel cappio di un referendum-ricatto. Perché era la prova generale di quello che sarebbe successo a tutti noi, a tutti i lavoratori, a tutti i cittadini in questo paese che non sa più essere la fabbrica del suo futuro.