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Il peggio che poteva fare, l’ha fatto,

Creato il 18 dicembre 2014 da Malvino
C’è chi sostiene che il prossimo Presidente della Repubblica conterà infinitamente meno di quanto ha contato quello attuale, perché riforma del Senato e nuova legge elettorale rafforzeranno di fatto a tal modo i poteri dell’esecutivo da far venir meno ogni ragione che ha costretto Giorgio Napolitano ad assumere un ruolo che a molti è parso esorbitare dalle prerogative che la Costituzione assegna al Capo dello Stato. Volendo, si può dire pure in altro modo: l’instabilità politica ha offerto a Giorgio Napolitano il pretesto di esorbitare tanto spesso dalle prerogative che la Costituzione assegna al Capo dello Stato al punto da poter dettare una sua agenda, e che questa ha portato ad un riassetto istituzionale che si traduce in un presidenzialismo di fatto, con un Presidente del Consiglio che potrà contare su un enorme premio di maggioranza e un Parlamento ad una sola Camera in cui siederà una maggioranza di nominati, e nominati da lui. Volesse o non volesse questo, Giorgio Napolitano l’ha reso possibile, perciò suonano francamente scandalose le affermazioni che ha fatto nel suo discorso alla cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i rappresentanti delle istituzioni, delle forze politiche e della società civile, l’altrieri.    «Gli auguri che quest’anno ci scambiamo s’intrecciano strettamente con gli impegni che tutti condividiamo per il superamento degli aspetti più critici della situazione economica e sociale del Paese. E qui si collocano le difficoltà che ancora si oppongono alla realizzazione dei cambiamenti di indirizzo e strutturali programmati dal governo e sottoposti al vaglio delle Camere». Chi ha deciso questi cambiamenti, e in virtù di quale investitura del voto popolare? Dov’è la maggioranza del Paese che si è mai espressa in favore del presidenzialismo e del bipartitismo come soluzioni degli aspetti più critici della situazione economica e sociale dell’Italia? Ed è corretto definire difficoltà le resistenze che in Parlamento si oppongono a questo disegno? «Non credo sia stata arbitraria la percezione, certo non solo da parte mia, che in quest’anno abbiamo ragionato, discusso e operato in una dimensione unica, italiana ed europea. I problemi dell’Italia, e le responsabilità del soggetto politico e istituzionale Italia, hanno fatto oggetto di serrata attenzione in sede europea, e discutendo tra noi dei nostri problemi non abbiamo potuto separarli dal contesto europeo di cui pure ci sentiamo protagonisti». Sì, ma chi ha deciso quale fosse il ruolo che l’Italia dovesse giocare in Europa? Che fine ha fatto la tanto sbandierata intenzione di ridefinire i nostri impegni in sede europea che è servita a Renzi per fronteggiare in termini concorrenziali le spinte euroscettiche di Lega e M5S? Ci sentiamo protagonisti del contesto europeo, ma non lo siamo. Se non abbiamo potuto separare i nostri problemi da quel contesto, è perché in esso prendevano forma e dimensione in relazione a un ruolo che non era affatto da protagonista. «Il forte consenso espressosi nelle elezioni del 25 maggio per il partito che guida il governo italiano ha oggettivamente garantito accresciuto ascolto e autorità all'Italia nel concerto europeo, come si è visto nel peso esercitato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi nel concorrere a soluzioni unitarie e significative nella definizione dei nuovi vertici dell’Unione, e innanzitutto nella composizione e nella guida della nuova Commissione. E lì si è anche espresso un rilevante riconoscimento per il ruolo del nostro Paese nella persona del ministro degli esteri Federica Mogherini chiamata a rappresentare, a far crescere e a dirigere la politica estera e di sicurezza comune europea». Cazzate, medaglie di latta: contiamo pochissimo in Europa, e non meritiamo di contare di più, perché, di là dai maquillages, debito, fisco e spesa pubblica sono piaghe, e il pil ristagna, e la crescita è sotto zero, e siamo fermi da più di vent’anni, e la colpa è di una classe politica che Giorgio Napolitano trova ancora il coraggio di difendere. «Il tema delle riforme necessarie per determinare condizioni idonee allo sviluppo degli investimenti, alla creazione di nuovo lavoro, alla maggior produttività e competitività delle nostre economie, è stato, in un passato anche recente, prospettato con qualche nebulosità in ripetute discussioni nelle istituzioni europee, ma ha oramai assunto dei contorni precisi, un’ampia articolazione concreta. E in questo senso bisogna considerare il programma di riforme messo a fuoco dal Presidente Renzi e dal suo governo. Riforme su cui ogni forza politica potesse misurarsi, senza pregiudiziali e in termini di confronto tra visioni e approcci seriamente sostenibili. Si tratta di un programma vasto, da scaglionare nel tempo complessivo che lo stesso governo ha voluto assegnarsi: ma che ha dato il senso di quale cambiamento fosse divenuto indispensabile, e non più eludibile o rinviabile». In quale punto della Costituzione sta scritto che il Presidente della Repubblica, da rappresentante dell’unità nazionale, può farsi garante presso la Nazione di un esecutivo guidato da un tizio che non ha mai avuto un solo voto in un’elezione politica e ha raccolto solo il 23,3% dei consensi tra gli aventi diritto al voto per delle consultazioni europee? Non è un avallo costituzionalmente nullo e politicamente illegittimo? Sul resto non vale neanche la pena di spendere un commento: lessico da attore politico della Prima Repubblica speso in favore di una Terza Repubblica da incubo, nella quale Palazzo Chigi governa a colpi di decreti in bianco. Prima Giorgio Napolitano si dimetterà e meglio sarà: il peggio che poteva fare, l’ha fatto, e con questo discorso l’ha vidimato. Se poi il suo successore conterà assai meno, sarà un bene, come minimo ci risparmieremo di vedere ancora il Quirinale come regia politica. Ma sarà un bene che avremo pagato carissimo. 

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