Una delle tenere ossessioni di Blugino è ascoltare Astrud Gilberto. La voce vellutata dell’interprete metà brasiliana e metà tedesca di bossanova e jazz risuona ciclicamente nel nostro stereo, portando ventate di esotico e mondi lontanissimi tra spruzzi di detersivi e candeggina quando facciamo le pulizie nel week-end.
No, davvero a volte il contrasto è assurdo: però c’è di buono che tra una strofa biascicata in un brasiliano assolutamente inventato e un’altra, diventiamo più leggeri e volteggiamo con stile ed eleganza con le pezze in mano, levando la polvere dai mobili con estrema destrezza.
A parte le minchiate, Astrud Gilberto è ormai un must per Blugino e io mi sono presto affezionato a questa cantante, vuoi perché ormai l’ho associata a lui e alla nostra quotidianità, vuoi perché ormai conosco le sue canzoni a memoria e quindi semplicemente mi piace.
In questi giorni di forte stress (che definire rocamboleschi è un eufemismo) per un motivo o per un altro ho ascoltato la splendida Berimbau di Vinicius Moraes, che anche la splendida Astrud ha cantato. Mi pareva come se improvvisamente mi si aprisse davanti a me un momento di felicità, un attimo foriero di serenità, una sensazione simile a quando ti risvegli riposato dopo una lunga dormita e sai che dinanzi a te non hai nulla da fare e semplicemente va tutto bene.
Una sensazione positiva che associata alla malinconia della canzone ho avvertito particolarmente mia. In effetti, queste settimane sono un casino, però nel momento in cui mi fermo, anche per un solo attimo, mi sembra tutto perfetto così com’è e mi rendo conto che molto probabilmente non c’è niente che non vada.
A lavoro ne parlavo con Naninho, mio collega brasiliano che mi raccontava della Capoeira, della sua terra e delle sue atmosfere. I suoi occhi brillavano forte e ripeteva le frasi di Berimbau soffermandosi su quelle che per lui erano più poesia: Astrud morbidamente insinua che l’amore sia come la Capoeira, una continua lotta, una danza in cui ci si muove, ci si sbilancia per afferrare l’altro e cercare di atterrare in piedi senza mai cadere. D’altronde un buon “capoerista” non cade e se cade lo fa bene.