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Il pericolo della solitudine

Da Marcofre

Quello di cui ha bisogno chi scrive non è un contratto, o almeno non solo. Ma una cerchia, che lo aiuti a crescere. L’ideale sarebbe una casa editrice capace di accompagnarlo, per crescere, per migliorarsi. In mancanza di questo, occorre darsi da fare e scovare un modo per entrare in contatto con qualcuno che scriva. Non c’è niente di peggio di uno scrittore solo: marcisce.

L’idea che si possa vivere in solitudine, e crescere comunque, è romantica, ma soprattutto sbagliata. Anche lo scrittore più solitario e asociale ha bisogno di qualcuno che condivida con lui pensieri, sfide, problemi e soluzioni.

Per questa ragione una scuola di scrittura potrebbe essere utile. Se non promette nulla è un indizio della sua qualità perché se al contrario garantisce qualcosa, forse è bene starne lontani. Ma in una scuola di scrittura si impara qualcosa.

Certo, esiste l’obiezione che recita più o meno: in un simile ambiente tutti sono impegnati in salamelecchi, ci si congratula a vicenda, si sorvola sui limiti o le pecche del singolo. Un po’ come nei forum, dove spesso i partecipanti paiono più impegnati a sostenersi, che a leggere.
È un problema, che si ritrova per esempio in buona parte dell’ambiente letterario. Critici che elogiano un autore da decenni, benché le sue opere abbiano la stessa vitalità delle incisioni cimiteriali. E via discorrendo.

Forse, se si ha buonsenso e talento, si capisce bene quello che è detto per compiacere, e quello che è genuino.
Quando Dostoevskij legge il manoscritto del “Il sosia” al circolo Belinskj, capisce al volo che gli elogi che riceve partono da un’idea sbagliata. Non vuole più scrivere di povera gente. Sta per cambiare registro, modificare radicalmente il proprio percorso. Mentre al circolo, tutti sono certi che lui voglia proseguire per la strada già tracciata.

Un confronto, se si hanno le idee chiare e il talento, conduce da qualche parte.


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