di Alfonso Nannariello
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Per fare a c’tràngula a ‘nzalàta1, all’origine si mettevano solo le olive nere e gli spicchi delle arance amare tagliati a metà. Si aggiungeva un po’ di sale, dell’origano e dell’olio. Qualcuno metteva anche dell’aceto, però solo un accento. Ed era tutta lì la cena della sera.
Le alici furono aggiunte molto più tardi, quando venne il pescivendolo, verso la fine degli anni ‘50 del Novecento.
Il pescivendolo credevo fosse di Manfredonia, invece veniva da Bisceglie. Il primo che arrivò fu Cosimo Gramegna. Stava in società con altri nove. Ogni venerdì, tutti e dieci in un camioncino solo, venivano da queste parti. Uno metteva il banco a Candela, un altro a Lacedonia, un altro ancora a Bisaccia, gli altri non ricordo dove mi hanno detto. So che l’ultimo, quello che arrivava più lontano, si fermava a Pescopagano.
Poi a Calitri venne sempre Mauro, che prima restava a Candela.
Mauro Belgiovine aveva incominciato a fare il pescivendolo dopo la guerra, nel ‘47. Quando veniva da noi scendeva ‘ngimma cort2, e per avere l’acqua per sciacquare il pesce pulito, lavare i coltelli e provvedere all’igiene propria e del banco, si metteva vicino a ‘u pìsc’l, sotto al tunnel del municipio, riparato dalla pioggia e dal caldo.
Apriva le gambe al banco di vendita piegate sotto dalle cerniere, e sul piano di legno stretto e lungo metteva ogni cosa al proprio posto. Le cassette dei pesci tutte da una parte, vicino il blocco di ghiaccio, che ogni tanto grattava e metteva tra le alghe, sui pesci.
Poi sistemava i coltelli, i pesi e la scatola di latta dei biscotti Plasmon, per i soldi. La stadera d’ottone l’appendeva. Infilzati a due ganci, appesi al muro i fogli di carta per il cono in cui riporre quello che vendeva, e i giornali per incartare. La cassetta per gli scarti andava a terra.
Poggiate direttamente sul banco una testa di pescespada e la coda a tranci.
Mauro sembrava il piccolo re del grande immenso abisso. Era magro, non però minuto o rinsecchito. Gli occhietti, portati di qua e di là per tenere in mente il turno di chi servire, erano sottolineati dalle sopracciglia nere e dai baffi sottili. Interveniva nei duetti delle donne, diceva come cucinare il pesce portato e del non pescato per il mare mosso.
E, quando gli sentivo questo, immaginavo le nubi scure e basse, una furiosa tempesta sopra il mare grosso, e i cavalloni solcati da dorsi di balene e navi di pirati.
1) C’tràngula a ‘nzalàta, «arancia amara ad insalata (ossia condita come si condisce la lattuga)». Il termine c’tràngula deriva da cetrangolo: l’arancio amaro.
2) Ngìmma Cort, è la denominazione di quella che, prima del terremoto del 23 novembre del 1980, era la piazza principale del paese. ‘Ngìmma, in cima, sopra, in alto. Cort, potrebbe significare, come riferisce Giulio Acocella nel suo Dizionario del dialetto calitrano, «municipio, tribunale». In effetti ‘ngìmma Cort c’è il Municipio e, al suo interno, c’era la Pretura. È più probabile però che il termine ci sia arrivato dalla terminologia economica dell’alto medioevo. In questo caso indicherebbe il fondo dominante dal quale dipendevano altri fondi coltivati.