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Il peso della farfalla, Erri De Luca

Creato il 29 gennaio 2014 da Frufru @frufru_90
Il peso della farfalla, Erri De Luca L'inizio non è stato dei migliori, anzi. Temevo di addormentarmi da un momento all'altro.
La prima immagine che questo libro mi ha fatto comparire in testa è stata, addirittura, quella del cacciatore che uccide la mamma di Bambi. Sì, mi vergogno un po', ma al re dei camosci, solo per un istante giuro, ho dato il volto bellissimo e dolce di Bambi. Il re dei camosci si offenderebbe sicuro, se lo sapesse. Lui, così fiero, così leale, così libero, così forte nella sua solitudine, così capace di restare al comando vivendo lontano dagli altri, ricordandosi delle altre solo nella stagione degli amori. Lui che si nasconde in tane che gli altri camosci non conoscono, lui che mangia foglie che gli altri camosci non hanno mai pensato di mangiare. Lui che ha inventato nuove strade, perché in ogni specie sono i solitari a tentare esperienze nuove, e si muove tra le rocce, i boschi e gli strapiombi come fosse un atleta. Come un acrobata più che altro, bello, fiero, libero. Con il suo ciuffo prezioso, tutto il suo peso e quella farfalla bianca che ama sostare sulle sue corna.
Ce ne sono due di re dei camosci in quella montagna. Uno è il re animale, a quattro zampe, l'acrobata appunto, che regna incontrastato da un ventennio, l'altro è un umano, chiamato re dei camosci perché non esiste un altro bracconiere come lui. È stato lui a uccidere la mamma di Bambi. È il suo l'odore che il camoscio riesce sempre ad annusare, in tempo per non farsi prendere dal fulmine, dal fuoco e dalla pallottola. Il camoscio sente sempre l'uomo, per questo lo preferisce alle aquile, che invece planano dall'alto, si rubano i cuccioli e beccano i loro occhi dopo averli frantumati a terra.
L'uomo ha più rispetto, tutto sommato.
I due re dei camosci si sfiorano da vent'anni, sono solitari, arrivano dove gli altri, in branco, non arriveranno mai. Ma adesso sono vecchi. Sono passate molte stagioni, il camoscio sa che non ci saranno altri autunni in cui essere ancora il re, con tutte le camoscette a disposizione, mentre l'uomo inizia a sentire il bisogno di avere una storia, lui che ha bruciato la sua gioventù in lotte violente e poi ha deciso di ritirarsi tra i boschi, senza far avvicinare mai nessuno alla sua tana, eppure adesso sente che qualcosa sta cambiando, come se si stesse aprendo un piccolo varco nel cuore.
Il re dei camosci umano vuole solo il re dei camosci quadrupede, cui dà la caccia da anni e anni, una volta che potrà rivendere il suo prezioso ciuffo smetterà di uccidere e troverà una sua storia da raccontare. Il camoscio, al contrario, la sua storia l'ha già scritta, manca solo il finale, ma ne serve uno degno della vita che ha avuto. Non può pensare di essere sventrato da uno dei suoi figli, a lui serve una fine più dignitosa. L'idea gli viene quando sente l'odore dell'uomo in avvicinamento. Quel giorno di novembre è il giorno perfetto, le bestie sanno il tempo in tempo, quando serve saperlo. Il camoscio cerca il suo cacciatore, lo trova. Ed è uno scontro tra due re, uno che vuole morire con fierezza, l'altro che vuole concludere altrettanto fieramente la sua carriera da bracconiere. Si incontreranno a metà strada e le loro solitudini così ruvide e regali si fonderanno per il peso di una farfalla bianca.
Così questa storia, che all'inizio mi sembrava solo un racconto di caccia, è diventata una storia di lealtà e onore. Di solitudine. Di rispetto. E pian piano, pagina dopo pagina, mi è piaciuta sempre di più, anche se poi, in definitiva, non mi ha fatto proprio impazzire.
Erri De Luca scrive in un modo inconfondibile e anche le sue storie sono molto particolari. C'è spesso un riferimento ai ricordi della sua gioventù, spesa tra le righe di Lotta Continua, alle sue lotte, a quell'ordine che si cercava di sovvertire. Come è già successo con I pesci non chiudono gli occhi (scarabocchi qui) mi sono trovata davanti una storia bella, che però mi lascia un però. Non so come spiegare: la scrittura di Erri De Luca non mi lascia indifferente, ma c'è sempre un qualcosa per cui non me ne innamoro perdutamente.
Comunque, oltre al racconto che dà il titolo al libro, ce n'è un altro, molto breve, alla fine. Si intitola Visita a un albero ed è una specie di ode a questa pianta di conifere che cresce su una roccia sfidando qualsiasi legge della natura, che cresce sola e che, per questo, molto probabilmente sarà la vittima scelta da un fulmine, prima o poi. È un albero sotto cui ogni tanto l'autore va a scrivere, ma non è l'unico inventore di storie tra i due, perché anche gli alberi di montagna scrivono in aria storie che si leggono stando sdraiati sotto. Una ragazza di campagna come me, che d'estate dondola beatamente su un'amaca appesa tra due piante, non può che sottoscrivere.
L'uomo d'inverno deve solo resistere nel guscio. Pensa: nessuna geometria ha ricavato la formula dell'uovo. Per il cerchio, la sfera c'è il pigreco, ma per la figura perfetta della vita non c'è quadratura.

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