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Il pessimo parto di Napapiiri

Da Pessimemamme
A 7 mesi di gravidanza la mia topolina era podalica. Poco male, si girerà. A 8 mesi, uguale. A 9 ho
cominciato ad andare nel panico. Ho comprato la famosa moxa e mi sono messa d’impegno. Ero al
mare, e lì seduta in terrazza con la pancia enorme e questi cannoni puzzolenti non facevo sta gran bella
impressione.. fatto sta che nemmeno tutto l’impegno del mondo ha fatto sì che la topolina capriolasse.
“Signora, non c’è posto”, mi sono sentita rispondere quando sono andata a prenotare il cesareo, doveva
cadere proprio il giorno del mio compleanno e invece siamo slittate 4 giorni dopo. Altro panico: e se
vuole uscire prima? Non voleva. Ma la sera prima del grande giorno, ormai ricoverata in ospedale, al
monitoraggio avevo le contrazioni! E più ci pensavo, più le sentivo chiare.
La mattina dopo sperimento le gioie di partorire in una clinica universitaria. Una simpatica tirocinante
cerca di infilarmi la cannula nell’avambraccio e mi fa il traforo del Monte Bianco. Il braccio si gonfia come
un pallone in un attimo, aiuto, voglio Dr. House! Poi mi staccano tutto e mi spediscono fuori, perché
nel frattempo sono arrivate delle urgenze. Passo due ore in attesa, con mio marito, mia mamma e mia
suocera a chiacchierare e a chiedermi quando sarà il mio momento. Poi arriva. Mi chiamano per mettere
cannula e catetere e si avvicina la stessa tirocinante del braccio. Eh no! Stavolta non mi freghi! Deve avermi
riconosciuto perché chiama una collega più esperta, almeno stavolta tutto va via liscio.
Poi tutto come da copione, cuffia, “calzini”, anestesia spinale. Meno da copione: una mosca che svolazza in
sala operatoria. Ma non doveva essere un ambiente sterile?
All’improvviso ho un flash e realizzo che nel giro di pochissimo diventerò mamma, cambierà tutto, avrò
un esserino a cui badare e dai miei occhi cominciano a sgorgare le lacrime. L’anestesista preoccupato mi
chiede se va tutto bene, se sento dolore… no, solo emozione. Così prende un fazzoletto e mi asciuga le
lacrime. Più volte.
Ad un certo punto sento un vagito: è lei! Sono le 14.42 del 28 luglio 2009. Ma come mai stanno tutti zitti?
Nessuno che dice: eccola/congratulazioni/sta bene/è bella/è sana? Silenzio. In un nanosecondo mi prende
l’angoscia, ma il mio “angelo custode” di anestesista mi tranquillizza, è tutto ok. Allora ho solo visto troppe
puntate di Reparto Maternità, in cui tutti sono gentili e sorridono, mica come qui che mi hanno tagliato la
pancia senza nemmeno dire buongiorno o un semplice “iniziamo”.
Polemiche a parte, il primo contatto che ho con il mio fagottino è un guancia-guancia, io crocifissa sul letto
operatorio non la posso toccare con le mani, ma ho un tenerissimo ricordo di quell’incontro, una deliziosa
sensazione di caldo e morbido. Non posso dire di averla vista, appoggiata troppo vicino al mio viso, e
probabilmente avevo gli occhi colmi di lacrime, ma sentita sì. Fagottino mio.
Poi me la portano via e mi cuciono in un tempo infinito. Durante il quale qualcuno ha detto: “non tutte le
ciambelle vengono col buco” e io non ho avuto il coraggio di chiedere se si riferissero a me e a quello che
stavano facendo su di me. Spero che si riferissero solo all’ematoma che mi sono trovata sotto il taglio, e che
mi faceva ululare di dolore (e giù di Toradol!). La ferita fa male? E chi la sentiva? Era tutt’altra causa..
Però però… nonostante tutto… io ho un ricordo positivo. Mi chiedono come mi sono trovata in
quell’ospedale e rispondo “Bene”. Poi analizzo tutto e mi dico che poteva andare certamente meglio,
eppure non l’ho vissuto male. In fin dei conti il parto è solo un mezzo e non posso pensare di focalizzare la
mia attenzione su di esso e non sullo scopo: ora c’è lei.

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