Magazine Cinema
Italia, 1981
79 minuti
Direi che se estraessimo in ordine i principali fotogrammi che compongono Il Pianeta Azzurro, per poi riassestarli all'interno di una superficie quadra fino a costruirne un mosaico, e osservarli così avendone la totale visione d'insieme, ci si accorgerebbe innanzitutto della precisa euritmia tonale dove a predominare è il colore azzurro, per l'appunto (quello del cielo, del disgelo, dell'acqua e del crepuscolo), e che in sostanza, dischiude e suggella l'idillico capolavoro di Franco Piavoli.
Poema sinfonico-esistenziale sulla magnificenza della Natura, i suoi cicli stagionali attraverso il tempo e l'insita integrazione dell'uomo in essa. È stimolante pensare come questo singolare docu-film partorito in un decennio (per il cinema) alquanto estraneo a determinate forme espressive, tenda ad attuarsi mediante un processo di reificazione, instaurando così nella mente di chi osserva, l'iniziale sensazione/illusione di trovarsi in un territorio a egli ignoto, come può esserlo, parafrasando il titolo, lo scenario inesplorato di un altro pianeta e le sue conformità aliene (notare la particolarità di certe piante). Il graduale risveglio dalle gelate invernali di una Natura dal potere astrattivo, falsifica infatti la percezione visiva delle forme e dell'ambiente, ed è solo con il dettagliato improvvisarsi delle nubi e il discendere dell'acqua piovana, con il rifiorire della primavera e dei suoi innati desideri (favoloso il momento di correlazione tra gli accoppiamenti delle varie specie - tra cui il nostro, in qualmodo ripreso anche nel recente Frammenti, 2012), che attualizziamo il reale; concretizziamo di essere, semplicemente, sulla Terra. È solamente che tendiamo a non riconoscerne più quei rigogliosi aspetti primari, talmente siamo distanti da determinate realtà e avvolti nel frastornante progresso quotidiano. A questo punto, Piavoli ci apre gli occhi; ci ridesta offrendoci l'opportunità di (ri)contemplare le origini dimenticate del nostro pianeta. Imprime, con la stessa eleganza di un poeta, trentamila metri* di pura essenza della vita e il suo più naturale decorso per restituirlo al nostro sguardo obliterato, mediante l'avvicendarsi dei giorni e delle stagioni; la quotidianietà dell'uomo e il suo ciclo biologico ripresi negli istanti più essenziali (il lavoro nei campi; lo svago; l'amore; il riposo; i turbamenti d'animo che riaffiorano durante il silenzio della notte). Ed ecco che in perfetta simbiosi con la rifioritura primaverile, anche i nostri sensi vengono sollecitati, riacquistando lucidità; è come risvegliarsi da una situazione che ci costringeva a una sorta di catalessi primordiale e ora, l'impressione è di essere noi stessi a rigermogliare/rinascere tra quelle piante e quegli insetti, come una qualsiasi altra e infinitesimale forma vivente, in quel preciso istante e in quel paesaggio microscopicamente ripreso al dettaglio. È come se la vista, si dischiudesse per la seconda volta di fronte a un universo del quale, a ogni giorno che passa, rischiamo di perdere il ricordo... Visione necessaria, non privatevene!
*Per il film, realizzato nell'arco di due anni in totale libertà, sono stati utilizzati trentamila metri di pellicola, grazie alla flessibilità di una cinepresa Arriflex, fornita a Piavoli dal regista Silvano Agosti.
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