Il posto fisso é morto e io non sono andata neanche al suo funerale!

Creato il 06 novembre 2014 da Koalalondinese @farego

… Perché non ero neanche nata!
Nella mia famiglia la parola posto fisso é sempre serpeggiata fra di noi come un’entitá invisibile, come quel momento in cui hai un concetto in mente, ma non ti viene fuori la parola.

Invece siamo sempre andati a braccetto con l’espatrio. L’immigrazione.

Il padre della mia bisnonna materna, quando lei era ancora piccola per capire che qui in Italia ai primi del 900 giá stavamo senza lavoro, partí per il Sud America. Non é piú tornato. O meglio come si apprese poi, si era rifatto una famiglia in Brasile, e poi era tornato in vecchiaia solo e senza una lira a barboneggiare per i vicoli di Roma.

La cugina di mia nonna invece con l’arrivo degli americani che misero la parola fine alla seconda guerra mondiale, pensó bene di prendere il largo verso il Montana assieme ad un aitante indo-americano.

Infine un cugino di mio padre all’ennesimo viaggio a Panama, decise che tutto sommato poteva dare fuoco alle valige e piantare le tende lí.

E poi ancora che insistono sul domandarsi come mai io abbia nel sangue una tale voglia di espatrio e viaggio!

Anyway tornando al discorso del famigerato posto fisso, i miei nonni materni e paterni non l’hanno mai visto.

Mio nonno il massimo di posto fisso che ha avuto, sono stati quei due anni nel campo di concentramento in Germania a lavorare (forzatamente) per i tedeschi a gratisse e sotto le bombe. Tornato in Italia forse é stato uno dei primi a lavorare a tempo determinato, quando di determinato era solo che prima o poi si doveva morire.

Le mie due nonne, lungimiranti, si ruppero le palle di fare la fame e mettersi il rossetto e il vestito buono alla Domenica, per far vedere che stavano bene finanziariamente quando in realtá facevano i salti olimpionici per mettere assieme pane e latte.

Quindi entrambe si dettero al commercio per conto loro, della serie ‘fangala il posto fisso, meglio essere il boss di se stessi! Cosí mentre gli altri le prendevano per pazze (sia mai che due donne si gettino nel business invece che sgrassare i piatti!) loro due negli anni 60 e 70, sono state quelle che oggi chiamiamo entrepreneur.

Sono state il mio primo esempio in famiglia che dalla povertá (con ingegno, sudore e volere=potere) se ne esce, eccome! E che il posto fisso e l’estenuante attesa di averlo, potevano pure andarsi a fottere!

Mio padre seguí la stessa strada, anzi a 4o anni suonati con 3 figlie sulla groppa, decise pure di cambiare lavoro, tanto perché era stato tirato su a suon di “se le cose non ti stanno bene, non rimugginare ma datti da fare e cambiale!“.

Io invece nonostante tutti questi begli esempi ci sono caduta nella trappola del posto fisso. Eccome!

Quando ero in Italia la parola contratto a tempo indeterminato mi suonava come la parola piú dolce e soave del mondo. Come un Dio liberatore e potente, come dire io da oggi esisto, io posso, io sono capace di acquistare anche a rate. Io, io, io possooooo!

Ho passato anni a saltellare da uno stage all’altro, ho lavorato gratis con promesse di assunzioni e grandi benefits che poi immaginate dove sono finite le promesse, sí in quel luogo dove di solito si va ad espletare i propri bisogni!

La parola contratto a tempo determinato, quanto la odiavo!

Guardavo con invidia le mie colleghe che avevano il fatidico e sudato contratto a tempo innnn-determinato. Io che dovevo sempre dire di sí, dovevo sempre darmi da fare perché il mio era un contrattino con l’invisibile clausola del zitta, lavora e non chiedere che se mi piaci ti tengo sennó vaffa!
Il contratto a tempo indeterminato in Italia vale piú dell’oro, giá prima che finisci le scuole ti viene inculcata la regola e il dovere di dover trovare un lavoro a tempo indeterminato. Chi ha il determinato o qualsiasi altro contratto é come non avesse nulla, non ha futuro, non puó fare nulla, praticamente non esiste, e vive sempre sul chi va lá.

Ma lo sapete una cosa?

Quando ho ottenuto il mio sudato e implorato contratto a tempo indeterminato … mi sono accorta (beffa delle beffe) che non mi avrebbe MAI garantito il posto fisso in quell’azienda. Questo per una semplice cosa:

L’azienda poteva decidere di punto in bianco (vista la super-duper crisi) di mandarti a casa tagliando il personale, oppure sballottarti da una sede all’altra, o peggio chiudere i battenti e mandare definitivamente tutti a casa.

Non c’era contratto che teneva. Mi sentivo come quando acquisti una giacca waterproof, ma dopo due gocce di pioggia sei come appena uscito dal mare!

Passai buona parte del 2008 poi tutto 2009 ad arrovellarmi sulla trappola in cui mi ero cacciata. Pensavo che il posto fisso mi avrebbe liberata, mi avrebbe dato un’identitá, e soprattutto mi avrebbe dato una sicurezza … e invece era tutta un’illusione!

Il posto fisso é morto da secolate eppure noi ancora continuiamo a tentare di risuscitarlo, in una societá sempre piú on demand. In una societá dove l’effimero si celebra piú del concreto, dove le mode e i bisogni sono volubili quanto il meteo in UK, dove oggi che bello, domani che palle!

Nel 2010 salutai il mio contratto indeterminato, sí quello che avevo tanto desiderato neanche fosse un amante. E siccome buon sangue non mente, feci armi e bagagli e me ne andai in UK dove … non ho mai visto contratto a tempo indeterminato (forse perché non l’ho mai neanche voluto tanto!).

Qui ho effettivamente appreso che il posto fisso é andato in pensione, che un mercato dinamico, un mercato fresco, un mercato produttivo non si mantiene con gente che sbadiglia in un posto fino alla fine dei tempi, gente che non si aggiorna o che vorrebbe altro ma non concretizza.

Alla soglia dei 30 anni ho mollato un lavoro a tempo indeterminato. Ho pianto, ho avuto paura, in famiglia é esplosa una bomba e sono partita con il ma dove caxxo vai!

Oggi ho 34 anni e non ho un posto fisso. Non ho un lavoro a tempo indeterminato. Neanche la vita é a tempo indeterminato, figurati se posso insistere nella ricerca di una cosa che ormai si é estinata da tantissimo tempo: il posto fisso!

Perché oggi siamo coscienti che se anche rimanessimo per sempre in una stessa azienda, inevitabilmente non sará la stessa scrivania per sempre, la stessa sede per sempre, stessi colleghi per sempre, e in molti casi … neanche la stessa cittá per sempre!

É ormai assodato. É assodato che non puoi progettare da qui a un tot di anni, é assodato che il futuro ci appare nebbioso, come é assodato che ormai indietro non si torna piú. Inutile gridare e chiedere di riavere tutto quanto indietro come era prima … é un po’ come chiedere di ritornare bambini.

Non dico che sia cosa buona e giusta, ma dico che le carte in tavola sono queste qui. Che magari siamo stati pure fregati, derubati e quanto altro, ma ormai siamo messi cosí. Siamo un po’ come Pinocchio e le monete d’oro. Mille promesse, zero concretezze. 

Io lo dico con il cuore perché sono figlia degli anni ’80 dove l’eccesso era la regola di vita, e il futuro sembrava tutto oro colato, cuoricini, stelle filanti ed unicorni in amore!

Oggi mi baso sul fattore dell’adattabilitá, di quella legge che afferma che l’animale piú resistente non é quello piú intelligente ma quello che si sa adattare. Sí signori in un mondo precario tocca adattarsi, tocca imparare a fare l’equilibrista.

Tanto la solfa é sempre la stessa. Chi non ha il posto si lamenta al pari di chi lo ha. É una legge, é parte integrante di noi umani: lamentarci. Peró di tanto in tanto qualcuno si rompe il caxxo e passa ai fatti sterzando dalla via percorsa dalla maggioranza.
Se il mio bisnonno fosse qui, lo so giá cosa mi direbbe: chi insiste e resiste, raggiunge e conquista!


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