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Il pranzo di Babette di Karen Blixen.

Creato il 04 novembre 2012 da Tazzina @tazzinadi

Il pranzo di Babette di Karen Blixen.

Karen Blixen, Capricci del destino, Feltrinelli. 


Ieri a Flash Papers su Radio Flash 97.6 il libro della puntata era questo. Un libro che mi sta molto a cuore. Un libro che contiene un racconto che amo tanto. Un racconto che il cuore lo schiude, lo rapisce, lo rigenera, lo istruisce, lo alleggerisce, lo solletica.
Norvegia. Fine Ottocento. Un fiordo, un braccio di mare e un villaggio sperduto, ma ben organizzato con le sue regole, le sue abitudini, le sue intransigenze. Nella cittadina di Berlevaag. 
La neve e la luce bianca scandiscono le giornate della casina gialla dove vivono le splendide, generose signorine Martina e Filippa - così chiamate in onore di Martin Lutero e del suo amico Filippo Melantone. 
"Il loro padre era stato decano e profeta, fondatore di una setta o di un pio partito ecclesiastico noto e riverito in tutta la nazione norvegese".
Le due ragazze sono bellissime, chiare, luminose e delicate come la neve. Devote e spirituali come il ghiaccio e la rinuncia. E di rinuncia si tratta quando si parla di due uomini, gli unici a transitare invano dalle loro vite solitarie, e di quella strana cosa impronunciabile e illusoria (e inutile, per carità!) chiamata amore. Uno è lo strepitoso Achille Papin - personaggio che vale da solo la lettura (e non vi ho ancora detto di Babette). Il grande cantante di Parigi che si era esibito per una settimana al Teatro Reale dell'Opera di Stoccolma, "trascinando come ovunque il pubblico all'entusiasmo". Per tornare in Francia aveva deciso di passare dalla Norvegia e lì l'incontro struggente e fatale con Filippa. Dopo averla sentita cantare in chiesa, vuole essere il suo maestro. "Ecco una primadonna dell'Opera che stenderebbe Parigi!". Il suo prudente pensiero al riguardo. 
Ed effettivamente nel mezzo di una lezione sul Don Giovanni di Mozart, proprio durante il duetto della seduzione, Achille è estasiato, e bacia Filippa. La quale ne resta colpita. Molto più che colpita. Così molto più che colpita da rinunciare, come si conviene, così su due piedi a quelle pericolose lezioni. Scelta che il padre accoglie con abnegazione: "E le vie del Signore solcano fiumi, figliola mia".
E a dire il vero questi fiumi trovano poi il modo di sfociare in qualcosa di senso compiuto, tanto che molti anni dopo, proprio un rassegnato e malinconico Papin sarà l'emissario di una lettera di accompagnamento per presentare e chiedere dimora alle sorelle per conto della povera, disperata, fuggiasca (dalla Comune di Parigi) Madame Babette Hersant. Uno dei personaggi credo più belli che la narrativa abbia tirato fuori dal cilindro. Che da quel momento prenderà sevizio con onore nella casina gialla, specializzandosi in insipide zuppe di birra e pane. 
L'altro innamorato, il pretendente di Martina è invece un giovanotto bello e silenzioso. Il cui amore dovrà essere soffocato, con un certo dolore, dal forzato diniego della ragazza. Un ufficiale che, una volta divenuto generale (il generale Loewenhielm), avrà un ruolo decisivo durante il famoso pranzo che dà il nome al racconto. Sarà l'unico a poter capire il pregio delle pietanze importate da Parigi, Champagne, brodo di tartaruga. E a poter pronunciare a parole qualcosa che tutti gli altri si costringono, per dovere morale, a tacere. 
Il pranzo di Babette: è il punto di svolta della storia. Una sontuosa preparazione che, in modo del tutto inaspettato, la ubbidiente cameriera (ma il cui passato rivela talenti e competenze straordinari) decide di allestire utilizzando una vincita strabiliante alla lotteria. Diecimila franchi, una somma mai neanche sentita nominare dalle due modeste sorelle.
Con questa somma Babette sceglie, anziché tornarsene a casa dove tanto nessuno più l'aspetta, di preparare un pranzo commemorativo per il centenario del defunto decano. E di invitare tutto il villaggio (compreso il generale L.).
Il pranzo non ve lo descrivo. Perché è da leggere. Nessuna parola in più o in meno gli renderebbe giustizia.
Ma in questo pranzo, dopo anni, c'è una resa dei conti. C'è un disvelamento segreto. E c'è finalmente quel mare aperto, felice, grande, accogliente in cui sfociano tutti i fiumi così abilmente spennellati e delineati da questa geniale scrittrice di nome Karen Blixen.
Leggete Karen Blixen!! Chi già non ne fosse innamorato. Questa scrittrice, famosa per La mia Africa (storia autobiografica in cui racconta come abbia tentato, insieme al cugino marito e nobiluomo Bror von Blixen-Finecke, di dedicarsi a varie piantagioni di caffè vicino a Nairobi nei primi del Novecento. Già solo per questa valente eccentricità, come non amarla?) sorprende molto per un suo carattere inconfondibile.
Ma poi la sua scrittura: spensierata, ma decisa. Lucidissima, brillante, ironica e saggia. Capace di scrutare nelle emozioni con gusto, capace di distillare gli snodi umani più profondi con la leggerezza dell'ironia a viso aperto e di un divertimento che si sente bene mentre si legge e al quale non si può rinunciare. Lei, nelle sue controversie di vita, si vede che si sarà molto divertita a scrivere queste storie, era la sua vita, come è divertente e vitale oggi leggerla, con gratitudine, con passione, con curiosità. 
Ah. E proprio in questo racconto che si trova il dialogo secondo me tra i più avvincenti della storia della letteratura mondiale. Quello che ricordo come il più lontano nella mia memoria. 
A parlare sono l'ufficiale e Martina, dopo il pranzo di Babette. 
"Ho trascorso con voi ogni giorno della mia vita. Sapete, non è vero, che è stato così?""Sì," disse Martina, "so che è stato così.""E," proseguì, "starò con voi ogni giorno che m'è lasciato di vivere. Ogni sera mi siederò, se non nella carne, che non significa nulla, nello spirito, che è tutto, per pranzare con voi, come stasera- Perché stasera, cara sorella, ho imparato che in questo mondo qualsiasi cosa è possibile."
Con queste parole si lasciarono.

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