Per i liberisti (Monti, Fornero, Renzi, Poletti, Giavazzi, Sacconi tanto per citarne alcuni), nel loro sadismo sociale, il lavoro fisso è monotono. La realtà è ben diversa ed è quella dell'umanità negata e calpestata dalla condizione precaria.
di Barbara Lozer da Facebook
Allo sportello del lavoro sono catalogata come precaria. Precaria in quanto non assunta con contratto di lavoro a tempo indeterminato. Precaria perché posso contare al momento e fino al trentuno di dicembre su un reddito mensile calcolato in base a trentadue ore (non settimanali, mensili).
Lavoro di precaria, se una non ha la macchina (oh me l'hanno detto vai a piedi e risparmi sulla benzina), se una non ha affitto o mutuo o bollette (magari esiste) con duecento euri mensililordi può anche mangiare (alla lidl le buste di verdura costano un euro).
Se il precariato finisse qua, finisse quando chiudi la porta di casa, quando smetti di lavorare, forse non sarebbe neanche tanto male.
Il problema di fondo, quello che pochi riescono a capire, è che se sei precaria lo sei in tutto. Sei precaria fino alle ossa, sei precaria nell'anima. Sei precaria di qua di là, sopra e sotto, non hai radici. Una vita più o meno con gli scatoloni pronti, senza disfare le valigie, Una vita da equilibrista, una vita in balia. A chiedere in continuazione, a prendere quello che c'è, a testa bassa, contro i mulini a vento, a non fare progetti a non dire la settimana prossima perché se lo fai precipiti nel baratro del domani. Una vita con le mani in tasca, del chissenefrega, a recitarti il mantra "domani è il giorno in cui" e a finir come Violetta "attendo, attendo e a me non giungon mai".
Una vita del non so se resto, forse vado, del non ti preoccupare e del non c'è soluzione. Dovrebbero riconoscerlo come malattia professionale, il precariato corrode l'anima.
Magazine Politica
Per i liberisti (Monti, Fornero, Renzi, Poletti, Giavazzi, Sacconi tanto per citarne alcuni), nel loro sadismo sociale, il lavoro fisso è monotono. La realtà è ben diversa ed è quella dell'umanità negata e calpestata dalla condizione precaria.
di Barbara Lozer da Facebook
Allo sportello del lavoro sono catalogata come precaria. Precaria in quanto non assunta con contratto di lavoro a tempo indeterminato. Precaria perché posso contare al momento e fino al trentuno di dicembre su un reddito mensile calcolato in base a trentadue ore (non settimanali, mensili).
Lavoro di precaria, se una non ha la macchina (oh me l'hanno detto vai a piedi e risparmi sulla benzina), se una non ha affitto o mutuo o bollette (magari esiste) con duecento euri mensililordi può anche mangiare (alla lidl le buste di verdura costano un euro).
Se il precariato finisse qua, finisse quando chiudi la porta di casa, quando smetti di lavorare, forse non sarebbe neanche tanto male.
Il problema di fondo, quello che pochi riescono a capire, è che se sei precaria lo sei in tutto. Sei precaria fino alle ossa, sei precaria nell'anima. Sei precaria di qua di là, sopra e sotto, non hai radici. Una vita più o meno con gli scatoloni pronti, senza disfare le valigie, Una vita da equilibrista, una vita in balia. A chiedere in continuazione, a prendere quello che c'è, a testa bassa, contro i mulini a vento, a non fare progetti a non dire la settimana prossima perché se lo fai precipiti nel baratro del domani. Una vita con le mani in tasca, del chissenefrega, a recitarti il mantra "domani è il giorno in cui" e a finir come Violetta "attendo, attendo e a me non giungon mai".
Una vita del non so se resto, forse vado, del non ti preoccupare e del non c'è soluzione. Dovrebbero riconoscerlo come malattia professionale, il precariato corrode l'anima.
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