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Il precariato è un male sociale: Raffaella R. Ferré scrive a Brunetta

Creato il 20 giugno 2011 da Ilbicchierediverso

 

Il precariato è un male sociale: Raffaella R. Ferré scrive a Brunetta
Sì, il precariato è un male sociale, è un male inguaribile, incurabile. Vogliamo essere catastrofisti, perché in Italia tutti- imprenditori, aziende, editori, comuni, giornali etc etc etc- approfittano di questo status e marciano fieri su lauree, capacità, professionalità e sogni (sì, anche su quelli, perché c’è ancora chi “sogna” un lavoro e si spacca in quattro per farlo in modo umano).

L’Italia è bastarda, vuole dirsi fondata sul lavoro ma non lo concede, non lo sviluppa, non lo sostiene, vuole essere all’avanguardia ma fa fuggire i suoi cervelli migliori, vuole venire incontro al cittadino ma lo gabba continuamente. L’Italia vuole. Ma non sa bene cosa.

A tutto questo va aggiunta una classe politica deficiente di ogni tipo di cognizione logica e tecnica che occorre a far sì che una nazione possa reputarsi tale, possa avere la giusta coesione tra rappresentanti e abitanti di essa.

In Italia non si lavora, si arranca. Non si vive, si respirano pesanti e rare boccate d’ossigeno. In Italia il Precariato è un dramma di cui nessuno vuole parlare, se non pochi coraggiosi (www.scrittoriprecari.wordpress.com, http://www.santaprecaria.com/blog/, tra gli altri) attraverso ogni mezzo che hanno a disposizione dai blog agli spazi sulle testate. Pochi, arrabbiati e combattivi.

Il Bicchiere Di_Verso non ha mai parlato di politica, e non lo sta di certo facendo in questa sede, non si interessa di politica, ma ha ben chiaro che lo sfruttamento, così come la censura, sono sistemi da combattere con tutte le forze a disposizione.

Soprattutto nella nostra redazione, abbiamo ben chiaro, cosa voglia dire per ogni fascia d’età vivere nel precariato, perché questo male oramai colpisce tutti, ma davvero tutti e i suoi strumenti sono i contratti a progetto, i pagamenti in nero, i call center, che pagano pochi spiccioli all’ora, le collaborazioni a partita iva, strumenti che infieriscono su animi demoralizzati e che si adeguano a una condizione  di sopravvivenza imposta viralmente. Ovviamente noi parliamo del Precario puro, di quello che davvero fa di tutto per lavorare e non si nasconde dietro la lamentatio dei tempi difficili, di chi ha impiegato anni di studi e fatiche per specializzarsi, per realizzarsi, per diventare quello che voleva e che si vede porte sbattute in faccia in ogni dove, o situazioni lavorative ridicole.

Per questo oggi pubblichiamo la lettera di Raffaella R. Ferré, collega campana, scrittrice e blogger, una lettera pubblicata anche di recente da un noto quotidiano nazionale. Uno scritto vero, a cui abbiamo voluto dare spazio perché corale, perché pensiero di molti nostri amici, collaboratori, scrittori, professionisti.

Una lettera viscerale a cui ci uniamo con la speranza, che tutti (impiegati e non) possano trovare un momento di forte unione contro il PRECARIATO.

Vi lasciamo alla lettera.

Buona scelta

IBD

Egregio Dott. Brunetta

le scrivo in merito alle sue affermazioni odierne. Io non so se quella gente che voleva parlarle del precariato è davvero la peggiore d’Italia. Non so se hanno armi di distruzione di massa a casa loro o se maltrattano i figli e gli animali domestici con le scariche elettriche. Non so se inducono alla prostituzione le sorelle minori o se rubano dai supermercati il latte a lunga conservazione. Magari si riuniscono nel circolo sotto casa e fanno festini con droga e prostitute. Magari si, magari è così e lei vede tutto come in quel film del serial killer che gli bastava incrociare lo sguardo di una persona per carpirne i peccati.

Perché lei ha ragione, sì, da precari davvero si diventa persone peggiori. Sì, a veder mortificate le proprie aspirazioni, a non sapere che cosa succederà al proprio lavoro tra due settimane, a non poter sognare di avere una casa senza sentirsi patetici, ad aspettare con terrore la bolletta dell’Enel, si diventa orribili. Si evita persino di fare gli auguri di compleanno ad un amico per non dovergli poi comprare un regalo. Noi donne non ci si fa più la ceretta e la tintura. Da precari si diventa rabbiosi più di un pitbull. E’ fortunato che non l’abbiano morsa, dottor Brunetta.

No, non faccia l’errore di credermi una reazionaria estremista di sinistra o giù di lì: sono, anzi, una che ha avuto a che fare con entrambe le parti politiche e purtroppo ho visto che anche a sinistra i precari possono rompere le scatole. Noi precari disoccupati atipici giovani si è insopportabili alle volte, solo che c’è chi lo nasconde meglio.

Vede, tra le varie io ho solo una cosa che mi preme contestarLe, solo una: quella cosa sull’andare a scaricare cassette di frutta al mercato. Senta, io ho ventotto anni e nella mia vita professionale non ho conosciuto altro che il precariato spinto. Non posso permettermi neppure un armadio, figuriamoci una casa. Se lei mi assicura che ai mercati generali mi fanno un contratto a tempo indeterminato per più di 600 euro al mese io ci vado subito. Di corsa. Domattina. Dico sul serio, sono una persona sana e ottimista, l’ho già fatto, mi piaceva pure. In barba a lauree, qualifiche, iscrizioni ad albi, velleità, sogni e via dicendo. L’ho fatto senza avvertirne la mortificazione: un lavoro è un lavoro e spesso la sua dignità sta nel pagamento alla fine del mese. Però sa: al supermercato dove ho lavorato io mi hanno pagato a nero. La sola differenza che mi è stato possibile riscontrare tra un lavoro pratico e manuale e un lavoro corrispondente ai miei studi era che nel primo caso mi facevano male le mani e nel secondo lo stomaco. La rabbia era sempre lì, intatta.

Cordialmente,

Raffaella R. Ferrè

Santa Precaria

 


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