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Il pregiudizio

Da Psychomer
By
Maurizio Mazzani
ottobre 28, 2010Posted in: psicologia clinicaIl pregiudizio

IL PREGIUDIZIO: un bisogno mascherato di anticipare l’altro attraverso categorie pre-costituite… solo utili a gestre l’ansia del non prevedibile!

Il fulcro della nuova psicologia è la natura costruttiva dei nostri schemi cognitivi, dei nostri pensieri, cioè di ciò che erroneamente crediamo vero. La realtà è da ciascuno di noi inventata, non esiste una corrispondenza esatta tra le nostre rappresentazioni e il mondo… essa può essere solo relativa. Esitono, di fatto, tanti mondi quanti sono gli abitanti del pianeta, nonché tanti altri mondi quanti sono gli animali esistenti, che inevitabilmente percepiscono il mondo, il loro mondo mediante la propria biologia, la quale decide, come anche per noi, il modo, il campo ecc. relativamente percepibile.

Per l’uomo la cosa è peculiarmente più complessa, poiché egli non è soltanto condizionato dalla propria biologia in senso diretto, ma lo è anche in senso indiretto cioè dalla natura proiettiva dei propri schemi mentali che via via si vanno formando nel corso della propria vita.

Alla luce di tale constatazione, si può affermare, dunque, che ciò che viviamo è solamente ciò che costruiamo, pertanto riteniamo vero solo quello che i nostri schemi decidono che sia. Costruire significa in pratica semplicemente interpretare la realtà in un modo personale, un modo particolare di osservare e spiegare il mondo che viene costruito attraverso la comunicazione e l’esperienza.
La realtà perciò non verrebbe quindi scoperta, come molti erroneamente credono, ma semplicemente inventata (concetto ampiamente esteso in un mio passato articolo “La realtà inventata”).

Dunque, se la realtà che crediamo “assolutamente” vera viene fabbricata in stragrande maggioranza dalla nostra conoscenza pregressa, cioè il frutto delle nostre passate esperienze, viene conseguente affermare, che il pregiudizio sia proprio una delle costruzioni più estreme, dove la caratteristica attribuzionale dei nostri pensieri effettua la maggiore distorsione percettiva. Il pregiudizio allora non sarebbe altro che una proiezione, una attribuzione conoscitiva propria, che per necessità previsionale addossiamo all’altro, considerado ciò come fatto vero, ma in realtà è giusto osservare, che esso non è altro che una nostra fissità mentale (il giudizio) che erroneamente consideriamo posseduta dall’altro.

Ciò è dovuto alla nostra limitazione conoscitiva, che necessariamente non può prevedere tutto e tutti, poiché altrimenti avremmo dovuto aver fatto nella nostra vita, tutte le esperienze possibili ed immaginabili per avere una conoscenza onnisciente capace di prevedere tutto e tutti… ma ciò non è assolutamente possibile!

La pratica quotidiana, infatti, ci dimostra tale realtà limitativa del nostro conoscere, questo lo possiamo notare rendendoci conto della continua presenza nella nostra attività costruttiva di contraddizioni, di metafore usate come uguaglianze e del gran numero di pregiudizi utili a prevedere la realtà, che altrimenti temeremo senza tali elaborazioni artificiali. Tale lavoro di processamento attribuzionale, non è altro che una conseguenza della nostra pochezza mentale, e anche se nevroticamente utile a farci sfuggire dall’ansia, che necessariamente emergerebbe per paura del non prevedibile (l’altro), costituisce di fatto l’espressione più evidente della natura ossessiva e difensiva della nostra mente.

Per esempio, se osserviamo le connotazione metaforiche tipiche dell’individuo conoscente (cioè noi stessi), possiamo osservare che il più delle volte, esse perdono la caratteristica d’utilità previsionale (assomiglia, sembra, ecc) e acquistano la valenza attribuzionale disfunzionale costituita dall’uguaglianza.
Ciò avviene per necessità nevrotica (insicurezza, limitazione cognitiva ecc.), in tal caso si è portati ad usare la metafora come identità, sono un… ; siete dei… ecc, in tal modo si è così portati ad identificarsi o ad identificare l’altro con l’oggetto della metafora, ed ecco palesemente ed eclatantemente nascere nella propria conoscenza una distorsione costruttiva della realtà.

Il pregiudizio, difatti, non è altro che una distorsione interpretativa ben articolata composta da concetti e metafore, che vengono applicate sull’altro al fine di categorizzarlo proiettivamente attraverso le proprie categorie. Un errore grossolano che costituisce un’azione abbietta “utile a se stessi” ma fortemente disfunzionale per l’altro. Infatti, all’origine del pregiudizio troviamo sempre, che l’emettitore iniziale dello stesso, sia una persona con forti caratterizzazioni speculative, ove l’aspetto attributivo è generalmente segnato da componenti di personalità facilmente colorate da caratterizzazioni paranoidee, una personalità, dunque, disturbata che trae beneficio dal discredito dell’altro.

Ribadendo, il pregiudizio è un processo cognitivo attraverso il quale utilizzando una griglia di categorie già possedute prevediamo l’altro. E’ chiaro che costruzioni così fatte sono per l’appunto pregiudiziali, proprio perché traggono la valutazione da riferimenti preconfezionati. Talvolta in conseguenza della loro stessa natura, rappresentano realtà comunicazionali dove l’ostilità per l’altro è proprio espressa dal pregiudizio.

In sintesi, essi sono utilizzati per connotare le persone che si conoscono poco o che per la loro natura esistenziale si pongono in modo da non rispecchiare le aspettative dell’altro, con superficialità e con elementi poco certi e indiretti. Pertanto in tale realtà, siffatte persone vengono costruite come temibili non perché lo siano realmente, ma solamente perché non facilmente comprendibili alla massa, che il più delle volte, attraverso il pettegolezzo, diviene preda di una “follia pregiudiziale epidemica”. Una malattia, dunque, che si pone nell’ottica non di una psicologia individuale, ma di una psicologia detta delle masse, ove il singolo individuo esercitante l’azione pregiudiziale, non possiede più una propria valenza costruttiva, un proprio modo di osservare il mondo (il non essere, il non pensare, ma solamente contribuire al mantenimento della “follia” come un gregario strisciante), ma detiene ormai una costruzione costituita dalla distorsione percettiva della massa.
I pregiudizi, quindi, dando una conoscenza rapida ed economica ma fuorviante falsano le previsioni, e come la metafora, costituiscono ostacolo ad una visuale corretta della realtà.

In conclusione, il modo di vedere le situazioni dipende dal tipo di analogie che costruiamo per comprenderle, e il non renderci conto delle limitazioni intrinseche dei nostri processi cognitivi può condurci all’arroganza e a stigmatizzare la differenza (l’altro costruito diverso) nell’ottica della propria visuale rigida e pregiudiziale. Emerge così la presunzione, che ponendosi coattivamente in una prospettiva rigidita, diviene l’unica ed indiscussa artefice di ciò che l’altro “deve” essere. Un’azione questa, che costituendo un’aberrante esigenza personale di osservare l’altro attraverso il giudizio preconfezionato e spesso diffondendolo mediante “contagio”, diviene un’azione atta solamente a proteggere nevroticamente se stessi per mezzo dell’annullamento dell’identità dell’altro.

Pertanto la pochezza cognitiva (scarsezza di differenziazione, di integrazione e gerarchizzazione mentale – cioè rigida visuale del mondo) autrice del pregiudizio, si evolve quale arrogante artefice della propria e dell’altrui realtà.
Una aberrante azione proiettiva questa, volta al solo e personale uso e consumo!

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