Ascoltando le considerazioni della cosiddetta gente comune, appare chiaro che, in un periodo come questo, che deve a pieno titolo considerarsi caratterizzato da una forte libertà individuale e collettiva, specie se paragonata ad altre parti del mondo o peggio a periodi del passato, spiri un deciso senso di ribellione verso ogni intervento governativo che fissi regole o che tenti di risanare un paese che va verso il fallimento. Questo viene considerato di norma come una prevaricazione inaccettabile e furtiva, mentre nell'opinione comune, ben altri sarebbero gli interventi giusti e facilmente applicabili se si volesse, invece di fare scelte sempre infami e sbagliate, probabilmente per pura ignavia o per connivenze pelose. Non c'è nulla di peggio della faciloneria della folla, soprattutto quando viene aizzata da scribacchini al soldo di cosche ben interessate a mantenere un comodo status quo o da politicanti populisti che dopo aver spinto il paese nel burrone con la loro incapacità, ora agitano i loro diti medi minacciosamente, invece di ficcarseli dove starebbero al caldo, adesso che l'inverno ha cominciato a far sentire i suoi rigori. Inopinatamente costoro hanno trovato sponda anche in chi dovrebbe avere a cuore soprattutto l'interesse della parte più debole del paese e che più avrebbe a soffrire dal possibile disastro. In verità però è sempre stato così. Evidentemente certi comportamenti sono geneticamente connaturati al cittadino, come la lamentela continua per ogni decisione presa, comunque sia, una sorta di rifiuto a priori per chi ci impone scelte dolorose anche quando sono minime ancorché obbligatorie.
In una calda estate di venti anni fa, si avvertiva già la fine di un'epoca anche se non spiravano ancora i venti di quelle mani pulite che avrebbero spazzato via la Milano da bere. Molte famiglie godevano ancora gli ultimi fuochi di quella che veniva chiamata la villeggiatura. Un mio amico trascorreva quel luglio afoso con la famiglia nella piacevole frescura della Valle d'Aosta. Ogni mattina era un piacere passeggiare lungo i sentieri sul fianco della montagna e sedersi poi in qualche prato, dove suo figlio poteva correre, libero imparando l'odore dell'erba appena tagliata e il suono sordo dei grandi campanacci che arrivava dai pascoli alti. C'era serenità in quel trascorrere lento della giornata, il piacere dell'aria pulita e del profumo di fieno. Era costume a quel tempo (sembrano passati mille anni) che i nonni, in occasione di ricorrenze topiche, comunioni o cresime, aprissero al nipote un conto corrente, per instillare nel giovane quella propensione al risparmio che ancora oggi funge da tampone salvifico alla nostra economia deficitaria. Al nostro ragazzino che aveva ormai compiuto i dieci anni, era stato versato un milione e sul significato della cosa era stato ben istruito in modo che, essendo piuttosto sveglio, ne aveva avuto la giusta cognizione di causa. Quella mattina arrivarono al prato piuttosto presto e mentre il ragazzo cercava di scoprire qualche bel coleottero nascosto tra le rocce, il padre si sedette su una pietra squadrata che pareva disegnata apposta per stare comodi a leggersi il giornale.
Ma ahimé, la notizia sparata su tutta la prima pagina quel 11 luglio 1992 non erano i preparativi per i festeggiamenti del cinquecentenario della scoperta dell'America, ma il colpo di mano che nella notte, il governo Amato, aveva operato sui conti correnti con un prelievo forzoso e retroattivo di 2 giorni del 6 per mille, in relazione ad "una drammatica emergenza di finanza pubblica". In effetti anche allora l'Italia stava per andare in bancarotta, ma questa operazione, per altro consistente in infimi spiccioli (a me furono prelevate 12.000 Lire), fu avvertita come un vero e proprio furto e da lì nacque il mantra del "mettere le mani in tasca agli italiani", abusato poi da tutti gli infami demagoghi che si sono succeduti in quelle poltrone. Il mio amico si lesse con calma l'articolo ed i commenti, poi chiamò il figlio e gli spiegò in maniera comprensibile quanto stava accadendo. Il ragazzo si sedette accanto a suo padre, inclinò un poco la testa ricciuta e strinse gli occhi, pensieroso, come per ripararsi dal sole, poi con uno sguardo ingenuo quasi incredulo, chiese: "Ma lo faranno anche ai bambini?". Al cenno di assenso del padre, lo sguardo si fece triste, la bocca prese una piega dura e l'accenno di una lacrima gli rigò il viso. Non disse più nulla, ma si capiva che conteggiava mentalmente le 6.000 Lire prelevate, corrispondenti a 6 coni di gelato da tre palline, quello che prendeva quasi tutti i giorni sulla piazza del paese. Governare è davvero cosa difficile, dice Sun Tsu nell'Arte della guerra.
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