Se vivi all’estero, è possibile che, quando sei in patria, uno sconosciuto ti dica: “Certo che stai bene in Spagna, arrivi e ti fanno lavorare in tv”.
Sono reduce dall’ennesimo viaggio lampo a Roma. Solita levataccia, un rumoroso volo low cost e interminabili abbuffate familiari. Durante una cena, tra una barzelletta ed un allegro brindisi, il classico amico di amici, ha dilettato la tavolata con la battuta di cui sopra. Ascoltandola ho riso, cosí come i commensali; ma una volta a casa ho iniziato a ricordare i miei inizi a Madrid.
Arrivare in Spagna, senza nessuno importante ad attenderti, ha significato, per me, ripartire da zero. Ricostruire la rete delle mie amicizie, relazioni sociali e professionali. Dimostrarmi cos’ero disposto a fare per inseguire le mie aspirazioni; combattere timori e costruire soluzioni per fare, lontano da casa, ció che sognavo di fare in patria.
Sono stato incosciente e spregiudicato; ho lasciato quello che era stato il mio mondo per 30 anni e mi sono catapultato in una cittá in cui non avevo altra cosa che me stesso.
Prima di lavorare come giornalista, per mantenermi, mi sono dovuto dedicare a professioni variopinte e malpagate. Non è semplice conservare forza e fiducia quando si emigra e ci si ritrova a lavorare in un call center o una birreria. Si va all’estero per migliorare la propria condizione e non per fare ciò che si farebbe in patria.
Niente di personale contro di Mr. X, la sua era solo una battuta. Trovare la propria strada lontani da casa è tutt’altro che automatico ma suppone sacrifici e un prezzo da pagare.