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Il primo discorso di fine anno di Napolitano

Creato il 30 dicembre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Domani sarà il 31 dicembre e, come consuetudine il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano terrà il suo discorso agli italiani. Immaginiamo già i temi che verranno toccati: la difficile situazione del nostro Paese, sia sul piano politico e istituzionale, sia su quello economico, con gli italiani alla ricerca di un’uscita da una crisi che non sembra avere mai fine; ma anche l’Europa con le sue prospettive sempre più incerte e i problemi del mondo. Solo che non sarà un discorso come tutti gli altri, perché sarà l’ottava volta che Giorgio Napolitano parlerà agli italiani, l’ottava storica volta di un presidente della Repubblica che per la prima volta è stato chiamato ad un nuovo mandato. E quindi ripercorriamo per un attimo quel lontano 31 dicembre 2006 quando un Giorgio Napolitano meno stanco e con meno preoccupazioni si accingeva a parlare per la prima volta al popolo italiano. Ecco il testo integrale del discorso di Napolitano.

A voi che mi ascoltate, e a tutti gli italiani, in patria e all’estero il più cordiale augurio di Buon Anno. E’ un augurio che vi rivolgo per la prima volta da Presidente della Repubblica. Rivivo la lontana emozione del mio incontro con la politica nell’Italia appena rinata alla democrazia. E colgo l’occasione per dirvi dunque brevemente dell’esperienza che sto compiendo da alcuni mesi e dei problemi con cui mi sono misurato.

Mi sono stati già affidati nel passato delicati incarichi nelle istituzioni italiane ed europee. Ma sto ora verificando quanto sia più complessa e impegnativa la responsabilità che la nostra Costituzione attribuisce al Capo dello Stato.

Interpretare ed esprimere, con passione civile e con assoluta imparzialità, sentimenti e valori condivisi, esigenze e bisogni che riflettono l’interesse generale del paese. E guardare sempre all’unità nazionale come bene primario da tutelare e consolidare.

A questo più alto incarico sono stato chiamato all’indomani di un voto che ha visto gli elettori dividersi in due parti quasi uguali, tra loro nettamente contrapposte. Le diversità, anche radicali, degli orientamenti e dei programmi, e quindi l’asprezza dei contrasti, non possono preoccupare perchè fanno naturalmente parte della competizione democratica. E non cancellano tutto quel che ci unisce come italiani.

Ma forte è il bisogno di un clima più sereno e costruttivo. Ho creduto e credo di doverlo dire.

Se la politica diventa un continuo gridare, un gareggiare a chi alza di più i toni, uno scontrarsi su tutto, su ogni questione, in ogni momento, ne soffrono le istituzioni, a cominciare dal Parlamento, e ne soffre il rapporto con i cittadini. Quando nel frastuono generale non si possono nemmeno più cogliere bene le diverse posizioni e proposte, allora molti finiscono per allontanarsi non da questo o da quel partito, ma dalla politica.

E invece, attenzione. A chi mi ascolta, e a tutti gli italiani, vorrei dire: non allontanatevi dalla politica.
Partecipatevi in tutti i modi possibili, portatevi forze e idee più giovani. Contribuite a rinnovarla, a migliorarla culturalmente e moralmente. Lessi molti anni fa e non ho mai dimenticato le parole della lettera che un condannato a morte della Resistenza, un giovane di 19 anni, scrisse alla madre: ci hanno fatto credere che ‘la politica e’ sporcizià o è ‘lavoro di specialisti’, e invece ‘la cosa pubblica siamo noi stessi’.

Quelle parole sono ancora attuali: non ci si può rinchiudere nel proprio orizzonte personale e privato, solo dalla politica possono venire le scelte generali di cui ha bisogno la collettività, e la partecipazione dei cittadini è indispensabile affinché quelle scelte corrispondano al bene comune.

Ma a questo fine è importante che vi sia più dialogo, più ascolto reciproco, tra gli opposti schieramenti. Non abbracci confusi, ma nemmeno guerre come tra nemici piuttosto che polemiche tra avversari. E’ questo l’appello che ho rivolto e che continuo testardamente a rivolgere ai protagonisti della vita politica, interpretando, credo, il comune sentire dei cittadini.

Quel che auspico è lo stesso clima consolidatosi, nella politica e nelle istituzioni, in grandi paesi democratici.
E’ possibile che ci sia anche da noi, confido che ci si arriverà.

Attraverso un confronto costruttivo si potranno ricercare – e questo, in sostanza, è ciò che preme a tutti noi – le soluzioni migliori ai problemi più gravi del paese. Ne citerò qualcuno che sento di più. Innanzitutto quello di far crescere e progredire l’Italia nel suo insieme. Le difficoltà non sono poche, lo sappiamo: dobbiamo alleggerirci del pesante debito pubblico accumulato nei decenni scorsi, e ciò richiede seri sforzi per dare priorità all’ interesse generale. Dobbiamo riuscirci non solo per rispettare i nostri impegni con l’ Europa, ma per porre su fondamenta più solide e sane lo sviluppo del nostro paese.

Lo sviluppo, ripeto, dell’insieme del paese. La sua parte più dinamica e competitiva merita la massima attenzione per il ruolo trainante che svolge, ma neppure essa può crescere per proprio conto, con le sue sole forze. E’ indispensabile una visione unitaria e solidale: non si può fare a meno del grande potenziale rappresentato dal Mezzogiorno, occorre metterlo a frutto con politiche incisive e coraggiose.

E per fortuna, l’Italia non è ferma. Ha già ripreso a crescere, col contributo determinante di imprenditori che hanno imboccato la strada dell’innovazione e del rischio del mercato globale; e insieme di tecnici e lavoratori qualificati e aperti al cambiamento, consapevoli che è il momento di premiare il merito. Bisogna incoraggiare gli uni e gli altri: guardando con particolare sensibilità a chi lavora in condizioni pesanti e per salari inadeguati, a cominciare dagli operai dell’industria. E non si può tollerare la minaccia e la frequenza degli infortuni cui è esposta la sicurezza, e addirittura la vita, di troppi occupati, specie di chi, italiano o immigrato, lavora in nero.

L’occupazione è in aumento. Ma c’è da creare ancora lavoro per molti giovani e donne, specialmente nel Sud: lavoro alla luce del sole e pienamente riconosciuto nei suoi diritti.

E’ questa una delle condizioni principali per realizzare una maggiore coesione sociale e civile, e in particolare per combattere fenomeni di disgregazione e criminalità nelle regioni più difficili.

Più coesione significa anche più equità, meno disparità nei redditi e nelle condizioni di vita, più vicinanza e sostegno per le persone e le famiglie che versano – e sono tante – in penose ristrettezze, e per quelle che sono provate da sofferenze di ogni natura. Più coesione significa inoltre uno sforzo maggiore per integrare nel sistema dei nostri principi e precetti costituzionali, senza discriminarli o tenerli ai margini, gli stranieri di cui l’Italia oggi ha certamente bisogno, e di cui è stato ed è giusto regolare l’ingresso legale nel nostro paese.

Una società più giusta, libera e aperta può anche essere più sicura, attraverso il richiamo severo, che non deve mancare, al rispetto delle leggi, delle regole, dei doveri. E’ a questo impegno che presiedono con grande dedizione, negli ambiti di rispettiva competenza, le forze dell’ ordine, e la magistratura, alla quale spetta anche contribuire a un più lineare e rapido corso della giustizia.

Sono queste le basi da rafforzare per un nuovo sviluppo del nostro paese, che è possibile e non dipende solo da chi ha responsabilità di governo ma dall’ iniziativa e dal contributo di molti. E ci dà fiducia la ricchezza delle risorse umane di cui disponiamo: risorse come quelle della scuola e della ricerca, ingegno creativo e produttivo, e insieme sensibilità e solidarietà diffuse, che si esprimono con forza crescente in tante forme, a cominciare dal volontariato, quello delle ragazze e dei ragazzi del Servizio civile che ho da poco incontrato, e quello dell’associazionismo laico e religioso.

E alla vigilia dell’Anno europeo delle pari opportunità voglio sottolineare come in Italia tra le riserve preziose su cui contare ci sia quella, ancora così poco valorizzata, dei talenti e delle energie femminili.
Vedete, ho conosciuto e ascoltato un mese fa a Napoli due donne. La prima, madre di un ragazzo che si stava perdendo nelle trappole della malavita, ci ha raccontato come abbia combattuto per salvarlo, per recuperarlo alla scuola e come ci sia riuscita con l’aiuto della scuola. La seconda, una giovane che ha studiato con successo giungendo alla laurea e al dottorato, lavora ora a un progetto avanzato di ricerca genetica, per mille euro al mese – e si considera fortunata – con un contratto che scade nel maggio prossimo, ma ‘non ci penso – ha detto – perché “ho un lavoro bellissimo”.

Ecco, due casi così diversi: ma che ci dicono entrambi quale forza morale anima tante donne e può diventare fattore essenziale di progresso civile e di crescita dell’economia e della società. In particolare, gli incontri che ho ricordato mi hanno dato ancor più fiducia nell’ avvenire di Napoli: è, come sapete, la mia città, ma penso sia cara a tutti gli italiani.

Per raccogliere le energie di cui è ricca la società italiana, indirizzarne e soddisfarne responsabilmente le domande, contrastando particolarismi e chiusure egoistiche, la politica ha bisogno di istituzioni più riconosciute e più forti. Si trovi dunque l’intesa per riformarle, senza toccare il patrimonio dei grandi valori e indirizzi costituzionali. Si concordino con realismo e misura quelle riforme che possono rendere più chiaro e coerente il ruolo delle autonomie regionali e locali, più efficace nelle sue decisioni il Parlamento nazionale, supremo fondamento della democrazia repubblicana. E si ricerchi pazientemente l’accordo su meccanismi elettorali che rendano più lineare e sicura la formazione delle maggioranze chiamate a governare il paese.

Infine, la politica deve guardare non solo all’Italia d’oggi, ma al mondo e al suo futuro.

Abbiamo costruito e consolidato la pace nel cuore dell’Europa, ma c’è ancora pace oltre i suoi confini. In questo momento tragici bagliori ci giungono ancora dall’Iraq. Sentiamo come minaccia comune le guerre che sconvolgono il Medio Oriente, che insieme con la fame e le malattie attraversano e flagellano l’Africa, da ultimo ancora una volta in Somalia, e che toccano ancora altre regioni.

La comunità internazionale, e in particolare l’Europa e l’Italia, non possono assistere inerti a questi conflitti, o a rischio della proliferazione nucleare; sono tenute a fare la loro parte per promuovere pace, stabilità, disarmo, sviluppo, per sostenere ovunque la causa dei diritti umani. Perciò è giusto intensificare le iniziative di cooperazione internazionale e partecipare alle missioni delle Nazioni Unite e dell’Unione europea in aree di crisi, come quella da poco iniziata in Libano. Ed è importante farlo con la carica di professionalità e umanità che contraddistingue le nostre Forze Armate, alle quali anche questa sera esprimo la nostra riconoscenza.

Ci sono state decisioni, come quella sull’ultima missione, prese in Parlamento a larghissima maggioranza: ecco un esempio positivo di intesa tra opposte parti politiche.

Il fenomeno delle crisi più gravi e delle guerre in diverse parti del mondo si intreccia col fenomeno del terrorismo internazionale, portando in sé il pericolo dei fanatismi, delle contrapposizioni radicali, degli scontri di civiltà.

Non possiamo dimenticare quel che l’Italia ha pagato per il terrorismo di casa nostra, per quel delirio di violenza e per quelle vite stroncate, alla cui memoria dobbiamo ancora rendere omaggio.

Ebbene, ci opponiamo con eguale fermezza al terrorismo di matrice fondamentalista che non conosce frontiere. Esso non rappresenta ma divide e minaccia innanzitutto lo stesso Islam.

In quanto a noi, perseguiamo non lo scontro ma il dialogo tra le culture e tra le religioni.
Nell’ attuale, contraddittorio quadro mondiale un grande contributo positivo può venire dall’ Europa.

E’ una convinzione, ed è un’aspettativa, che ho sentito esprimere dai Capi di Stato e dalle personalità rappresentative di numerosi paesi, di diversi continenti che ho incontrato in questi mesi. Occorre perciò superare resistenze e difficoltà che impediscono una più forte unità e azione europea. Lo diciamo sapendo che anche l’Italia conterà nel mondo che si trasforma sotto i nostri occhi solo se conterà di più l’Europa.

Su questi grandi temi – la pace, in Terra Santa innanzitutto, tra israeliani e palestinesi; il dialogo con altre civiltà e altre fedi, nella distinzione e nel reciproco rispetto; il ruolo dell’Europa – colgo una profonda sintonia con la Chiesa cattolica, con le sue espressioni di base, con le sue voci più alte. Ne ho tratto conferma dall’aperto e cordiale incontro del 20 novembre con Papa Benedetto XVI, al quale invio di qui il mio saluto beneaugurante. C’è sintonia nel sollecitare un più giusto ordine mondiale, un modello di sviluppo globale diverso e più sobrio, di fronte a un ormai inquietante degrado dell’ ambiente, che minaccia la stessa sopravvivenza umana.

Nel discorso indirizzatomi in occasione di quell’incontro il Pontefice ha voluto richiamare ripetutamente i principi e i valori affermati nella Costituzione italiana. E’ mia convinzione che sia in effetti questo il riferimento essenziale per affrontare nel modo migliore anche i temi più delicati che oggi ci vengono proposti dagli sviluppi della scienza e dall’etica, da complesse situazioni sociali e da dolorosi casi umani come quelli che ci hanno di recente turbato e coinvolto. Alle scelte di cui si riconosca la necessità, il Parlamento può giungere nella sua autonomia attraverso un dialogo sulla vita e un confronto sulla realtà della famiglia che portino chiarezza ed evitino fratture.

In conclusione, le questioni che si profilano in ogni campo all’ inizio del nuovo anno richiedono un impegno di più pacata e costruttiva riflessione, un maggior senso del limite e della responsabilità. E’ così che potranno essere superate molte difficoltà, rispetto alle quali un paese come il nostro deve e può avere fiducia in se stesso. E’ un paese nel quale antiche e profonde sono le radici della civiltà dell’Europa e dell’Occidente. E’ un paese che può far leva tanto sulla sua storia quanto sul suo dinamismo, sulla sua capacità di rinnovarsi e migliorarsi.

E’ questo il saluto di Buon Anno che rivolgo dunque a voi tutti, alle vostre famiglie, e in modo particolarmente affettuoso – anche da nonno, se mi permettete – ai bambini che vi circondano. Ne incontro molti, al Quirinale e nelle città: e sono sempre una fonte fresca di gioia e di speranza. E’ pensando a loro che dobbiamo saper guardare lontano, saper guardare consapevolmente al futuro.

Grazie, e ancora auguri!


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