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Il primo impatto con Raymond Carver

Da Marcofre

Il primo impatto con Raymond Carver è stato “Cattedrale”, e risale a non molto tempo fa.
Non è vero.
Ricordo con una certa nitidezza un articolo su “La Stampa” di Torino, all’interno dell’inserto TuttoLibri, ma risale a oltre 6/8 anni fa. Forse di più, ma non ricordo con precisione.

Si parlava dello scrittore statunitense, e del suo rapporto con l’editor Gordon Lish, che aveva modificato (per usare un eufemismo), i suoi racconti.
Io pensavo: “Che razza di scrittore può volere un editor che rilegge e riscrive le sue opere? Semplice: uno scrittore mediocre!”
Fine del rapporto con Carver.

Tragico vero?
Quando invece ho acquistato “Cattedrale” ho capito l’errore madornale che avevo commesso.
Penne.
La casa di Chef
La briglia
Cattedrale
Una cosa piccola ma buona

Eccetera eccetera.

Sono i titoli di alcuni racconti contenuti in quel libro. Non si tratta di celebrare in maniera acritica Carver.
Però a me già il primo aveva mozzato il fiato.

Non è semplice da spiegare, però diciamo questo. D’un tratto trovi quello che cerchi: sei a casa tua, anche se non è casa tua. Persino gli odori ti sono familiari, benché sia la prima volta che varchi la soglia di quell’abitazione. L’hai cercata per anni. Sei stato in castelli, ville, caverne e tuguri, soffitte e sottoscala. Qualcosa ti hanno dato, certo.
Però il vuoto era sempre lì.

Poi arriva questo libro e tutto diventa nitido, amichevole, in un certo senso semplice. La vita è quella. Lì. Stendi il braccio, tocca, fruga con la mano, sfiora con le dita. Poi ripiegalo. Hai le dita luride? Hai le nocche sbucciate? Poggiaci sopra le labbra, succhia le ferite, lo senti il sapore del ferro? Cosa ti aspettavi: è la vita.
Stendi di nuovo il braccio, ricomincia.

Se hai coraggio.


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