Il problema del personaggio esistito

Da Marcofre

C’è differenza tra un personaggio, e un personaggio realmente esistito, magari pure storico? O meglio: quanto si è liberi nello scrivere di qualcuno che è davvero esistito, ha agito e magari ha modellato la Storia? È un argomento da affrontare oppure è un argomento di lana caprina? Ma soprattutto: esistono i personaggi di fantasia? Proverò a rispondere ma non garantisco il successo!

Il personaggio di fantasia esiste?

Un personaggio “di fantasia” non esiste per un motivo semplice. Se così fosse, non riuscirebbe a parlare al lettore, a comunicare. E siccome scrivere è comunicazione, possiamo concludere che un personaggio di fantasia non esiste affatto. Anche quello che appare assurdo, è in qualche modo modellato su “qualcuno” o “qualcosa” che ha le sue radici qui, in questo mondo. Non puoi parlare a budella e frattaglie (vale a dire: a noi) con aria e sospiri. Queste sono bubbole che si sentono in giro perché il manicheismo ormai impera. Tutto ciò che è materiale, è brutto e cattivo: parliamo delle idee! Della fantasia! Dell’immaginazione! E lasciamo che il resto vada serenamente al diavolo.
Questo manicheismo di ritorno, funziona. Ma funzionava anche il cannibalismo…

Il personaggio storico

Forse possiamo distinguere 2 tipologie (come dicono gli esperti) di personaggi. La prima: quello storico. La seconda; quello che è esistito e nella storia che si tenta di scrivere ha un ruolo ben preciso: vale a dire agisce, parla, si muove insomma.
Nel primo caso, la faccenda può sembrare facile quanto bere un bicchiere d’acqua: basta procurarsi dei libri che lo riguardano e leggerseli. A volte ne basta uno. In questo modo si viene a sapere su di lui quanto ci serve: passioni, cicatrici, letture. Siccome è “riferito” (vale a dire: di lui si parla, c’è un personaggio che ne descrive profilo e quant’altro), è tutto abbastanza semplice.
È quanto ho dovuto fare per gettare le basi del mio romanzo: e il personaggio è il colonnello Gheddafi. Siccome uno dei personaggi del romanzo ha lavorato in Libia per anni, non potevo evitare di documentarmi su di lui, sulle sue caratteristiche (amava Beethoven, aveva letto Voltaire e Rousseau), e anche su altre peculiarità di Tripoli e dintorni. E continuo a documentarmi leggendo “Gli italiani in Libia: dal fascismo a Gheddafi”.
Domanda: chi te lo fa fare? Non lo so. Magari non riuscirò mai a scriverlo davvero.
O forse, potevo scegliere di cimentarmi con qualcosa di più semplice. (Bello, vero, quel “cimentarmi”? Eh, è un blog letterario questo, mica cotica e culatello!).
Perché leggere dei libri per conoscere il nome di un albergo a Tripoli, o quello di certe cittadine costiere della Libia? Già perché? Per quale ragione “perdere tempo” in questo modo, quando le classifiche sono pieni di storie che non hanno alcuna profondità?
Boh!

Il personaggio davvero esistito, che agisce


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