Nel sistema giuridico dell’Arabia Saudita i processi hanno caratteristiche molto differenti da quelli celebrati in Occidente. Manca la certezza delle pene in rapporto al crimine, poiché i Tribunali applicano sia le leggi dello Stato sia le opinioni di studiosi punta, il che rende la Sharia wahabita più flessibile di quanto si pensa abitualmente della legge islamica e meno prevedibile nella sua applicazione.
Processi veri e propri avvengono in Arabia Saudita solo per personalità di spicco e non in forma pubblica; al meglio è concessa la presenza dei famigliari e dell’avvocato difensore. Impossibile seguire l’andamento del dibattito dal quale emergeranno la sentenza e la pena da applicare, pertanto non possiamo conoscere con quali motivazioni la Corte ha rigettato il giorno 16 settembre la richiesta da parte dell’Accusa di condannare a morte per il teologo e attivista dei diritti umani Nimr Baqui al-Nimr, commutandola in una condanna a 17 anni. L’ultima parola non è ancora detta, la Difesa ha presentato appello contro la condanna e l’udienza avverrò il 10 ottobre.
Della figura di Nimr, delle circostanze dell’arresto e delle condizioni della detenzione si è parlato nei post precedenti http://mcc43.wordpress.com/tag/nimr-al-nimr/. Ora si può tentare qualche considerazione sulla sentenza emessa, così come essa risulta al momento.
Innanzitutto, per un detenuto di 60 anni una pena quasi ventennale, nelle presumibili condizioni
delle carceri saudite, può equivalere a una sentenza a vita. Esclusa, pertanto, ogni intenzione compassionevole.Si tratta di una cautela, di un riguardo del governo saudita per la propria immagine. Le prove a carico per l’accusa di “incitamento alla sedizione” erano inconsistenti: i video dei suoi discorsi rendevano evidente ai seguaci dell’intero Medio Oriente Sciita che alle richieste di libertà per le minoranze e di rispetto dei diritti umani, Nimr accompagnava una predicazione della non violenza. Inoltre, l’esecuzione della pena di morte, che in Arabia Saudita avviene per decapitazione o crocifissione, sarebbe avvenuta in un clima di diffuso sdegno per le decapitazioni praticate dall’ISIS. Una coincidenza perlomeno imbarazzante.
Aver risparmiato la vita di Nimr è un gesto da inscrivere in una trattativa in corso fra governi. Nelle carceri dell’Iraq vi sono almeno 200 detenuti di nazionalità saudita per i quali la diplomazia sta cercando di ottenere, anche per gli accusati di terrorismo, il trasferimento nelle prigioni del Kurdistan. Il premier iracheno Al-Maliki ha sempre rifiutato; dall’11 agosto la questione è a discrezione del successore Ḥaydar Jawwād al-ʿAbādī, e le trattative avvengono in Giordania tra gli Ambasciatori dei due paesi.
Può sorprendere che la vita di un oppositore politico saudita possa avere un qualsiasi interesse per un premier iracheno, invece l’importanza c’è e si spiega in campo religioso.
Nimr è un autorevole rappresentante dell’Islam Sciita, la confessione cui aderisce un terzo della popolazione irachena e il 15% di quella saudita. Preoccupazioni di ordine pubblico, quindi, che si estendono oltre i confini dei due paesi perché gli Sciiti costituiscono la stragrande maggioranza in Iran, nel Bahrein e Azerbaigian, sono il 50% della popolazione dello Yemen, il 27 % in Libano, rappresentati e protetti da Hezbollah, il 20% in Pakistan oltre a essere significativamente presenti in Siria e Turchia.
Molto raro in Occidente che l’opinione pubblica tenga debito conto della scissione del mondo islamico nei due grandi rami Sunnita e Sciita. Le differenze fra le due confessioni sono ben delineate in un articolo della giornalista di Infopal Angela Lano, e risalgono a circostanze politico-dinastiche che hanno creato nel corso del tempo divaricazioni di credenze e di mentalità dei fedeli.
Confessione minoritaria rispetto al Sunnismo, la Sciia ha sviluppato maggiormente l’aspetto culturale. Vi è in insistenza sullo sforzo del raziocinio individuale e si pratica una selezione rigorosa dei rappresentanti religiosi secondo una scala di sapienza e dignità che ha come titolo più elevato quello di Ayatollah. E’ sufficiente pensare alla Guida Suprema Ayatollah Ali Khamenei. Da tenere presente che in Iran vige un certo grado di separazione fra stato e religione; il Presidente è eletto dal popolo, ma il Consiglio del Guardiani della Rivoluzione presieduto da Khamenei ha funzione di vigilanza, controllo e poteri concreti, per esempio sulle forze armate.
L’Islam di cui si parla nei media, il più delle volte a sproposito, è quello Sunnita i cui rappresentanti non sempre sono culturalmente adeguati. E’sufficiente essere “notabili” per qualche ragione: responsabilità in gruppi, associazioni, comunità o disporre di sostanzioso patrimonio per essere definiti shayk e confusi con i veri esperti in materia religiosa che sono i mullah.
Per quanto i fondamentalisti, attaccati alla lettera del testo coranico avulso dal contesto storico, siano la minoranza, il Sunnismo è tendenzialmente più tradizionalista e conservatore della Sciia. Nello Sciismo l’afflato messianico impresso dall’attesa del Mahdi, l’Imam nascosto che riapparirà un giorno agli occhi degli uomini per volere di Dio, crea una tensione intellettuale e spirituale verso il futuro, sebbene coesistente con un’emotività che, oggi come nel lontano passato, gronda dolore per il martirio di Hussayn, ultimo nipote maschio del Profeta.
Sunniti e Sciiti sono in rotta di collisione da 1400 anni e ciò non riguarda solo le alte gerarchie, è avvertito dai fedeli; su questo conflitto irrisolto giocano terroristi e governi per destabilizzare intere nazioni.
E’ abbastanza evidente che è in corso oggi un’azione geopolitica mirante ad affievolire l’importanza dell’Islam, ma è possibile che il nodo vero sia un’azione contro tutte le religioni. Si ricorderà che il Pontificato di Ratzinger è stato oscurato da una forsennata aggressione mediatica che pretestuosamente additava la Chiesa come istituzione invasa dalla pedofilia. Aggressione arretrata significativamente nel Pontificato di Bergoglio, a fronte di un più feroce e montante attacco all’Islam.
“La globalizzazione si è realizzata nella forma economica e soprattutto tecnologica e non in quella ideologico-religiosa” sottolinea filosofo Emanuele Severino nel saggio dall‘Islam a Prometeo. Questa è la base epocale nascosta sotto i titoli strillati della cronaca geopolitica.
Non c’è – tranne che nell’apparenza che si vuole suggerire- lo scontro con una religione, vi è un attacco a tutte le religioni, in quanto esse sono portatrici di idee universali e atemporali nel mondo contemporaneo nel quale la Tecnologia ha introdotto la rinuncia a qualsiasi verità permanente. Si può vedere nel potere della Tecnica la manifestazione estrema del Nichilismo.