Nel 2006 è stato realizzato il più autorevole studio sulla pedofilia da parte di sacerdoti cattolici condotto da un team di ricercatori del John Jay College of Criminal Justice di New York, la cui conclusione è stata questa: la pedofilia di alcuni preti non è dovuta né al celibato né all’omosessualità, bensì al clima culturale libertario e permissivo degli anni successivi al 1968.
Sul finire di questo inverno, senza molti clamori, le maggiori testate giornalistiche (vedi articolo sul Corriere del 13 marzo) hanno riferito della sentenza di condanna nei confronti dello psicologo infantile Léonide Kameneff a ben 12 anni di carcere per violenza sessuale, tentata violenza e aggressioni sessuali verso minori. Crimini consumati nello spazio temporale di un ventennio in associazione con altre persone. La sentenza di condanna è stata emessa dalla Corte di Assise di Parigi al termine di un processo drammaticodurato tre settimane nel quale il noto psicologo ha provato a “diminuire” la portata delle sue azioni giustificandole nell’ambito del più generale clima permissivo proprio di una certa cultura post-68. Ancora una volta più ombre che luci sui protagonisti dei rivoluzionari anni 70 del trascorso secolo, quando la rivendicazione di nuovi stili di vita improntati ad una ritrovata libertà e il contestuale rifiuto di quelli già esistenti sembravano precludere ad una nuova era.
Per chi non conoscesse il pensiero e l’opera di Kameneff, precisiamo subito che questo psicologo si è fatto promotore e paladino a suo tempo di un metodo scolastico che coinvolgeva decine di bambini e adolescenti francesi impegnati nell’apprendimento di diverse materie su velieri che solcavano i mari per un anno o più. Chiaramente, giova ribadirlo, ci troviamo di fronte ad una delle più classiche utopie degli anni 70: tantissimi adolescenti dai 10 ai 15 anni sono stati affidati a Kameneff e al suo staff da parte dei loro genitori convinti della bontà di un metodo educativo che fosse alternativo e più adatto a quello in voga nelle anguste scuole borghesi del tempo.
Ma la verità emersa in sede processuale è molto più scabrosa di quanto si possa immaginare in quanto Kameneff e i suoi assistenti plagiavano e abusavano dei bambini che erano stati loro affidati. Quegli stessi bambini, oggi adulti tra i 33 e i 46 anni, che hanno raccontato in tribunale come il loro “educatore” usava entrare nei loro letti, di notte, dicendo loro «Se ti faccio stare bene, è perché non ti faccio niente di male». E i bambini, in molti casi neppure entrati nella pubertà, non osavano deludere il loro maestro di vita e benefattore-orco. Kameneff nel corso del processo ha provato a rievocare queste turpi vicende inquadrandole nell’atmosfera permissiva di quegli anni, quando la pedofilia non era diventata un’emergenza sociale e mediatica e il clima culturale dell’epoca incoraggiava, semmai, a rispettare e assecondare la sessualità dei bambini.
Non a caso, sui velieri da lui approntati si viveva nudi. «Ma bisogna calarsi (sic!) nel contesto, tutti stavano nudi sulle barche all’epoca, adulti e bambini», ha detto Kameneff, autore, tra le altre cose, di un libro-manifesto La scuola senza lavagna dove afferma che «il bambino ha gli stessi diritti e doveri degli adulti, tra i quali quello di vivere la sua sessualità come preferisce». Alla fine di questa squallida storia di violenza ed abusi, la sola riflessione che possiamo fare la prendiamo dalla motivazione della sentenza, nella parte in cui si afferma che: «L’imputato si è reso responsabile di un condizionamento simile a quello di una setta nei confronti di bambini particolarmente vulnerabili, una forma di dominio psicologico usato per soddisfare le sue pulsioni sessuali». Nessuna attenuante dunque per «un’epoca che si pretende permissiva», semmai condanna per un uomo caratterizzato da «una sessualità deviata e profondamente traumatica per le vittime».